Clooney: «Una nuvola nera sull’America»
Un film di denuncia. Sul red carpet Amal come una first lady
di Manuela Pivato
2 minuti di lettura

Lasciata all’hotel Cipriani la sua famiglia felice - Amal in piscina e i gemellini con la balia -, George Clooney porta al Lido la famiglia mostruosa di “Suburbicon” (in Concorso) dove, sotto l’apparente letizia di un sobborgo dalle tinte confetto nell’America degli anni Cinquanta, si nascondono i peggiori istinti dell’animo umano, razzismo a piene mani e morti ammazzati come se piovesse.
La commedia molto noir, nata da un’idea dei fratelli Coen, consegna l’attore e regista per l’ottava volta al festival, ma è Venezia74 a raccoglierne la versione nuova, impegnata, politically oriented, forse in via di definizione verso altre e più alte mete. «Io candidato alla presidenza degli Stati Uniti? Perché no, fare il presidente è una cosa divertente e chiunque sarebbe meglio di Trump» dice l’attore alla conferenza stampa di presentazione del film insieme agli interpreti - i bravissimi Matt Damon e Julianne Moore - e al compositore francese Alexandre Desplat che ha curato la colonna sonora del film.
Dev’essere il matrimonio, o la paternità, o i capelli irrecuperabilmente grigi, e una compagna che si muove già da first lady, ad accordare all’uomo considerato il più bello del mondo - non solo a furor di donne, ma anche secondo la scienza - un cambio di passo e l’affrancamento completo e definitivo da ciò che è stato.
Accolto da una folla di giornalisti in attesa da ore, camicia e pantaloni scuri, Clooney - alla sua sesta prova da regista - è subito politico, così come lo è il suo film che intinge nell’America profonda di sessant’anni fa i problemi di oggi. Visto dalla critica come il suo manifesto anti Trump, “Suburbicon” gratta sotto la superficie delle casette tutte uguali, delle aiuole fiorite, delle gonne a ruota e dei bigodini, per tirare fuori il peggio della società, che non guarda in faccia nemmeno l’innocenza di un bambino. Ecco, dunque, che la rapina in casa di un uomo perfetto fino alla nausea, Gardner Lodge (Matt Damon), i cui nuovi vicini sono una coppia di colore specchio di Barack e Michelle Obama subito presa di mira dall’intero sobborgo, apre una voragine di casualità che, a colpi di angoscia, portano fino al fondo del precipizio. «C’è una nube nera che sembra coprire il nostro paese, io sono ottimista, ma c’è molta rabbia e il film lo riflette» dice il regista «quando abbiamo girato sicuramente eravamo arrabbiati, ma oltre a essere cattivi volevamo anche essere divertenti».
Graziato dalla pioggia, il tappeto rosso di ieri sera si trasforma in una passerella dalla solennità presidenziale, la prima di Clooney insieme ad Amal, in chiffon lilla, i capelli raccolti in un rotolino in tema con il film, a seppellire per sempre i tempi tumultuosi delle veline e di quando era signorino. La sua naturale cortesia lo porta a rispondere anche all’invito del sindaco Luigi Brugnaro che gli chiede il suo sostegno per Venezia. «Ho sempre amato e rispettato questa città» dice l’attore «chiedo a tutti di fare altrettanto».
La Sala Grande lo accoglie con una standing ovation e mille smartphone puntati addosso, non solo su di lui ma anche sull’apprezzatissimo compagno (di dodici anni più giovane) di Julianne Moore che a sua volta brilla in un abito sottoveste d’oro, e su Matt Damon, suo vicino di suite al Cipriani e con il quale, venerdì sera, ha cenato come un sultano nel ristorante Da Ivo.
L’impegno e la denuncia, mentre sta crescendo due minuscoli americani di domani, modificano il tono del glamour clooniano per fargli dire quello che tutti vogliono sentirgli dire. «Il nostro Paese deve ancora affrontare problematiche che non sono mai state risolte» spiega «sono cresciuto negli anni della disgregazione, del peccato originale. Questo non è un film su Donald Trump, ma sul fatto che non siamo ancora riusciti ad affrontare le nostre questioni razziali».
Il razzismo è l’orrore collettivo del film che fa da coppa all’orrore domestico e all’agghiacciante follia dei protagonisti. «Non ho mai visto Matt in una parte così terribile» dice ancora Clooney «ha una carica sessuale incredibile». «Una volta sola, non di più» conferma l’attore, in polo da spesa al supermarket «non avevo mai fatto una parte così inquietante nella mia carriera. Ho dovuto fare un passo in avanti insieme a George».
Durante la proiezione, sul Lido arriva il temporale; la Sala segue il film con il fiato sospeso, alla fine un applauso lungo dieci minuti culmina in una appassionata standing ovation e Clooney bacia la moglie.
Poi tutti alla festa ai Granai della Giudecca; oggi la partenza per Toronto.
La commedia molto noir, nata da un’idea dei fratelli Coen, consegna l’attore e regista per l’ottava volta al festival, ma è Venezia74 a raccoglierne la versione nuova, impegnata, politically oriented, forse in via di definizione verso altre e più alte mete. «Io candidato alla presidenza degli Stati Uniti? Perché no, fare il presidente è una cosa divertente e chiunque sarebbe meglio di Trump» dice l’attore alla conferenza stampa di presentazione del film insieme agli interpreti - i bravissimi Matt Damon e Julianne Moore - e al compositore francese Alexandre Desplat che ha curato la colonna sonora del film.
Dev’essere il matrimonio, o la paternità, o i capelli irrecuperabilmente grigi, e una compagna che si muove già da first lady, ad accordare all’uomo considerato il più bello del mondo - non solo a furor di donne, ma anche secondo la scienza - un cambio di passo e l’affrancamento completo e definitivo da ciò che è stato.
Accolto da una folla di giornalisti in attesa da ore, camicia e pantaloni scuri, Clooney - alla sua sesta prova da regista - è subito politico, così come lo è il suo film che intinge nell’America profonda di sessant’anni fa i problemi di oggi. Visto dalla critica come il suo manifesto anti Trump, “Suburbicon” gratta sotto la superficie delle casette tutte uguali, delle aiuole fiorite, delle gonne a ruota e dei bigodini, per tirare fuori il peggio della società, che non guarda in faccia nemmeno l’innocenza di un bambino. Ecco, dunque, che la rapina in casa di un uomo perfetto fino alla nausea, Gardner Lodge (Matt Damon), i cui nuovi vicini sono una coppia di colore specchio di Barack e Michelle Obama subito presa di mira dall’intero sobborgo, apre una voragine di casualità che, a colpi di angoscia, portano fino al fondo del precipizio. «C’è una nube nera che sembra coprire il nostro paese, io sono ottimista, ma c’è molta rabbia e il film lo riflette» dice il regista «quando abbiamo girato sicuramente eravamo arrabbiati, ma oltre a essere cattivi volevamo anche essere divertenti».
Graziato dalla pioggia, il tappeto rosso di ieri sera si trasforma in una passerella dalla solennità presidenziale, la prima di Clooney insieme ad Amal, in chiffon lilla, i capelli raccolti in un rotolino in tema con il film, a seppellire per sempre i tempi tumultuosi delle veline e di quando era signorino. La sua naturale cortesia lo porta a rispondere anche all’invito del sindaco Luigi Brugnaro che gli chiede il suo sostegno per Venezia. «Ho sempre amato e rispettato questa città» dice l’attore «chiedo a tutti di fare altrettanto».
La Sala Grande lo accoglie con una standing ovation e mille smartphone puntati addosso, non solo su di lui ma anche sull’apprezzatissimo compagno (di dodici anni più giovane) di Julianne Moore che a sua volta brilla in un abito sottoveste d’oro, e su Matt Damon, suo vicino di suite al Cipriani e con il quale, venerdì sera, ha cenato come un sultano nel ristorante Da Ivo.
L’impegno e la denuncia, mentre sta crescendo due minuscoli americani di domani, modificano il tono del glamour clooniano per fargli dire quello che tutti vogliono sentirgli dire. «Il nostro Paese deve ancora affrontare problematiche che non sono mai state risolte» spiega «sono cresciuto negli anni della disgregazione, del peccato originale. Questo non è un film su Donald Trump, ma sul fatto che non siamo ancora riusciti ad affrontare le nostre questioni razziali».
Il razzismo è l’orrore collettivo del film che fa da coppa all’orrore domestico e all’agghiacciante follia dei protagonisti. «Non ho mai visto Matt in una parte così terribile» dice ancora Clooney «ha una carica sessuale incredibile». «Una volta sola, non di più» conferma l’attore, in polo da spesa al supermarket «non avevo mai fatto una parte così inquietante nella mia carriera. Ho dovuto fare un passo in avanti insieme a George».
Durante la proiezione, sul Lido arriva il temporale; la Sala segue il film con il fiato sospeso, alla fine un applauso lungo dieci minuti culmina in una appassionata standing ovation e Clooney bacia la moglie.
Poi tutti alla festa ai Granai della Giudecca; oggi la partenza per Toronto.
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