I telefonini in classe sono vietati, dice il ministro dell’Istruzione e del Merito, ribadendo un divieto peraltro già in essere da tempo e quindi non dicendo nulla di nuovo ma dando lo stesso un segnale chiaro al mondo della scuola: anche la ricreazione, come la pacchia evocata da altri ministri, è finita; con ricreazione intendendo non gli utilizzi sbagliati degli smartphone durante le lezioni, che vanno sempre censurati; ma quel tentativo, anzi quella lunga stagione, in cui del digitale a scuola si è parlato per migliorarla, per rendere le lezioni più coinvolgenti e partecipate, per rendere in definitiva lo studio più appassionante.
C’è stato un tempo in cui parlavamo con fervore di ebook per sostituire i libri di carta e non solo per salvare qualche albero, ma perché in digitale si potevano introdurre video, test interattivi e grafici animati (visti gli zaini che usano ancora gli studenti, direi che abbiamo totalmente fallito, hanno vinto gli editori scolastici e i loro profitti).
E poi ci battevamo per il wifi a scuola e per la necessità di collegare tutti gli istituti con la banda ultra larga. E questo non per chattare fra compagni ma per fare lezioni diverse, orizzontali, non soltanto dalla cattedra, frontali, come accaduto a noi, ai nostri genitori, ai nostri nonni e ai genitori dei nostri nonni e così via fino alla notte dei tempi. I più esperti poi discettavano con entusiasmo del modello finlandese e della flipped classroom, la classe rovesciata, e dell’importanza di una didattica diversa in cui certo, contava il merito e contavano le nozioni, ma contava soprattutto la capacità di infondere nei ragazzi passione per la conoscenza e curiosità per il futuro, gli unici strumenti con i quali poter crescere davvero. E invece quella stagione sembra ormai finita, tutte queste cose infatti sono scomparse dai discorsi del ministro.
Avanti tutta, si torna indietro, alla scuola di una volta. Il passato da noi non passa mai.