L'autore è Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale
Emozionati dalle folle mosse dai Friday4future e ancora legati al fallace mito dei nativi digitali, che sarebbero in grado di superare il digital divide per una sorta di “diritto di nascita”, troppo spesso gli “adulti” danno per scontato che temi come il valore della sostenibilità e la competenza digitale siano fattori acquisiti, consolidati ed entrati nei comportamenti dei giovani.
Eppure, che il binomio tra sostenibilità e digitale per i giovani sia un dato di fatto, è tutto da dimostrare. Troppo spesso, che si tratti di giovani o di adulti, ci adagiamo attorno a convinzioni tutte da verificare, basate su un ipotetico “sentire comune” che, alla prova dei fatti, è spesso fallace.
L’Osservatorio sulla Sostenibilità Digitale
Anche per questo la Fondazione per la Sostenibilità Digitale da due anni ha sviluppato un Osservatorio permanente finalizzato a studiare il livello di percezione degli italiani rispetto alle relazioni tra sostenibilità e digitalizzazione. Un osservatorio che si propone di analizzare il modo in cui i nostri connazionali vivono il rapporto con il digitale, percepiscono l’importanza della sostenibilità e comprendono come questi due fattori siano inscindibilmente collegati. Osservatorio nell’ambito del quale - per dare una lettura più semplice e significativa dei dati - è stato sviluppato un indice multidimensionale di percezione, il Digital Sustainability Index (DISITM), che nasce proprio per descrivere quanto, dal punto di vista degli italiani, le twin transition siano effettivamente considerate tali.
Serve cioè per misurare le correlazioni tra tre elementi dell’individuo:
- il livello di digitalizzazione, inteso come rapporto tra la propria competenza percepita e quella desumibile da fattori oggettivi;
- il livello di sostenibilità, inteso come il rapporto tra consapevolezza sul tema nelle sue dimensioni ambientale, economica e sociale ed i conseguenti atteggiamenti e comportamenti;
- il livello di sostenibilità digitale, inteso come la propensione dell’individuo ad utilizzare consapevolmente le tecnologie digitali come strumenti a supporto della sostenibilità.
Nella costruzione dell’indice si sono considerati quattro profili di popolazione, caratterizzati da specifiche attitudini verso il digitale e verso la sostenibilità, che danno luogo a quattro quadranti (Figura 1):
- Sostenibili digitali: che hanno atteggiamento e comportamenti orientati alla sostenibilità ed usano gli strumenti digitali;
- Sostenibili analogici: con atteggiamento e comportamenti orientati alla sostenibilità ma non usano gli strumenti digitali;
- Insostenibili digitali: caratterizzati da atteggiamento e comportamenti non orientati alla sostenibilità, ma che usano strumento digitali;
- Insostenibili analogici: ossia coloro i quali hanno atteggiamento e comportamenti non orientati alla sostenibilità, né usano strumento digitali.
Analizzando la ricerca svolta dall’Osservatorio, ne emerge un’Italia divisa tra analogici (49%) e digitali (51%) nella quale i sostenibili sono la minoranza (44%) ed i sostenibili digitali ancora meno (26%), come ha raccontato Marco Frojo su Repubblica in occasione della nascita del nostro indice.
Dal DISI al DiSI Young
Ma che succede se - come si diceva all’inizio - si guarda alla popolazione giovanile? E se si amplia lo spettro di analisi ai giovani di diverse nazioni europee? È questo che ci siamo chiesti assieme alla Fondazione EY, che in occasione del suo decennale ha collaborato con la Fondazione per la Sostenibilità Digitale nella realizzazione di una verticalizzazione del nostro indice, dedicato ai giovani e definito - non a caso - DISI Young.
Qualche conferma e molte sorprese tra i risultati, che sono sintetizzati nell’articolo apparso a valle della presentazione dei dati su Green & Blue e che mostrano come i giovani italiani siano tra i più attenti ai temi della sostenibilità digitale (Figura 2).
Ma - al di là dei numeri - quali considerazioni emergono dalla lettura dei risultati della ricerca?
Vorrei ma non posso
Confrontando le condizioni infrastrutturali dei 5 Paesi analizzati con le risposte fornite dai giovani - coerentemente con quanto già osservato nelle rilevazioni generali del DiSI - emerge una proporzione inversa tra disponibilità di infrastrutture e consapevolezza dell’utilità delle stesse ai fini della sostenibilità. In altri termini, sono proprio quei giovani che vivono in territori con dotazioni infrastrutturali peggiori a rendersi maggiormente conto, paradossalmente in virtù della loro assenza, dell’importanza del digitale per accedere a servizi e strumenti abilitanti dei percorsi di sostenibilità.
La commoditizzazione delle tecnologie digitali non giova alla consapevolezza del loro ruolo in termini di sostenibilità e, al contrario, è proprio l’assenza di tecnologie altrove largamente disponibili e/o di servizi consolidati a rendere più evidente la consapevolezza della loro necessità, anche e soprattutto in relazione agli obiettivi di sostenibilità.
Sapere di non sapere
Dai dati emerge chiaramente che chi più sa, più sa di non sapere.
Confrontando i dati inerenti ai comportamenti effettivi e alle competenze certificate con quelli relativi alla competenza dichiarata, emerge come, nei Paesi caratterizzati da minore cultura ed alfabetizzazione digitale, i giovani e le giovani tendano a sovrastimare le proprie competenze digitali. Questo, per tutti gli intervistati e le intervistate di tutti i cluster.
Quanto più si diffonde la cultura digitale tanto più se ne vedono le implicazioni in termini di complessità e gli aspetti problematici da affrontare, così come - d’altro canto - se ne colgono i punti di forza.
Digitale vettore di sostenibilità
Confrontando i cluster a coppie coerenti (Sostenibili/Insostenibili - Analogici/Digitali) si evidenzia come, al di là della dimensione ideologica, a determinare i comportamenti sostenibili contribuisca in misura maggiore il driver della digitalizzazione di quanto non faccia quello della stessa sostenibilità.
In altri termini è più facile che un insostenibile digitale assuma comportamenti sostenibili di quanto non lo sia che lo faccia un sostenibile analogico. La digitalizzazione, quindi, si dimostra intrinsecamente vettore di comportamenti orientati alla sostenibilità, benché tali comportamenti spesso siano determinati da un approccio utilitaristico (ad esempio comodità d’uso dei servizi digitali) piuttosto che ideologico, o consapevolmente basato su scelte di sostenibilità. Per contro, l’orientamento ideologico orientato alla sostenibilità è scarsamente impattante sui comportamenti effettivi.
Sostenibilità mediterranea & asse franco-tedesco
Guardando ai dati complessivi dei diversi Paesi, atteggiamenti, consapevolezze e comportamenti giovanili sembrano simili in tutti i paesi analizzati. Tuttavia, le differenze emergono - e talvolta sono rilevanti - se si guarda agli stessi dati “spacchettandoli” nei 4 cluster del DiSI.
Dall’analisi emerge infatti una forte similitudine nelle dinamiche di sostenibilità digitale riscontrate in Francia ed in Germania, ove si evidenzia una forte cultura digitale ma una propensione alle pratiche di sostenibilità meno marcata di quanto non lo sia negli altri tre paesi analizzati (Polonia, Italia, Spagna). Soprattutto se si guarda al contrasto tra visioni ideologiche e comportamenti effettivi.
Italia e Spagna sono accomunate da comportamenti ed atteggiamenti molto simili in termini di sensibilità verso la sostenibilità (più alta di quella riscontrata in Germania ed in Francia), con una significativa differenza dipendente da un maggior coefficiente di digitalizzazione riscontrato in Spagna rispetto all’Italia.
Tecnofobia ambientalista
Confrontando i dati inerenti la visione ideologica di sostenibilità con quelli relativi alla fiducia verso la tecnologia emerge che quanto più ci si sposta verso convinzioni profondamente ambientaliste tanto più si tende ad avere atteggiamenti diffidenti nei confronti della tecnologia.
Il risultato è che proprio chi più potrebbe avvantaggiarsi dello sviluppo tecnologico e digitale per la sostenibilità, ne fa meno uso.