La bancarotta di Ftx, il terzo più grande exchange del mondo, ha provocato un terremoto. In meno di due settimane, la capitalizzazione complessiva del mercato delle criptovalute ha perso il 20% del valore (da oltre mille miliardi a circa 800). Peggio ancora: l’enorme sfiducia provocata dal crollo della piattaforma di compravendita fondata da Sam Bankman-Fried potrebbe contagiare anche altri importanti exchange, dando vita a un effetto domino.

Un operatore come BlockFi ha già interrotto i prelievi, mentre alcune realtà esposte anche sotto il profilo del crypto-lending (prestiti ad alto rendimento di criptovalute) come Genesis e Gemini stanno iniziando a subire qualche contraccolpo. Inevitabilmente – e come già avvenuto centinaia di volte in passato – numerosi analisti hanno decretato la fine delle criptovalute, messe al tappeto da un colpo micidiale dal quale sarebbe impossibile riprendersi.
Difficile prevedere se davvero andrà così, è però sicuro che ci sia la massima urgenza di recuperare un po’ di fiducia da parte degli investitori, già alle prese con la fine del ciclo espansivo che ha caratterizzato il biennio passato. È possibile riuscire nell’impresa? Secondo alcuni addetti ai lavori, la risposta è positiva e porta il nome di proof-of-reserves (“prova di riserva”): un meccanismo che consente di verificare in ogni momento, tramite blockchain, la solvibilità dell’exchange a cui abbiamo affidato i nostri soldi.

Le cause che hanno portato al crollo di Ftx sono varie e complesse, ma per sintetizzare al massimo sono infatti sufficienti due numeri: questo exchange aveva liquidità per soli 900 milioni di dollari di fronte a una passività nei confronti dei suoi clienti di oltre 9 miliardi. La proof- of-reserves avrebbe in teoria mostrato immediatamente che i soldi dei clienti di Ftx stavano venendo spostati dove non avrebbero dovuto essere (in questo caso, nella società di trading Alameda Research, di proprietà sempre di Sam Bankman-Fried).
La proof-of-reserves (POR) è già utilizzata da un’entità che emette stablecoin (criptovalute dal valore fisso) come Paxos – che può così dimostrare di avere le riserve necessarie a garantirne il valore – o da exchange come BitMex, che la sfruttano per dimostrare che i depositi dei clienti corrispondono ai beni che hanno in custodia.

Come funziona questa POR? Si tratta di una verifica indipendente, condotta da una terza parte che riceve i dati relativi al bilancio di un altro network e verifica che i conti siano in ordine. Come spiega in un approfondimento il sito dell’exchange statunitense Kraken, il revisore che sfrutta questo sistema registra prima di tutto una panoramica dei bilanci di un exchange, archiviando i dati relativi ai conti dei clienti. In seguito, ottiene una “impronta crittografica” che rappresenta il dato aggregato di tutti i conti. Infine, semplificando molto, verifica che i bilanci siano pari o superiori ai depositi dei clienti, dimostrando che gli asset sono garantiti dalle riserve.
Ci sono più metodi per condurre questa revisione, ma in tutti i casi il punto centrale è uno: consentire a una terza parte – e di conseguenza agli utenti – di verificare tramite strumenti crittografati e automatici che i depositi siano dove dovrebbero essere e che l’exchange sia solvibile. Binance, il più grande exchange del mondo, ha già fatto sapere di voler adottare questo sistema nelle prossime settimane, così come hanno annunciato altre piattaforme come Gate.io, Poloniex, Bitget, Huobi e altre. È sufficiente per rassicurare gli investitori e ripristinare un po’ di fiducia verso questo settore?
Secondo Erick Richmond, responsabile operativo dell’exchange canadese Coinsquare, si tratta di un passo nella giusta direzione, ma ancora meglio sarebbe affidarsi a una classica regolamentazione, come ha scelto infatti di fare Coinsquare. “Abbiamo l’obbligo di fare report quotidiani in cui mostriamo le passività dei nostri clienti confrontandole con i nostri beni”, ha spiegato Richmond a CoinDesk, specificando come i beni siano conservati in archivi non connessi a internet per scongiurare il pericolo di attacchi hacker. “Ogni singolo giorno dobbiamo garantire che questi valori siano corrispondenti”.
Com’è però noto, il mondo della blockchain è molto restio ad affidarsi a regolamentazioni classiche (che fanno almeno in parte venir meno la stessa ragion d’essere di questo settore, che si fonda sulla disintermediazione dei processi) e vede nella proof-of-reserves una delle ultime possibilità di dimostrare di essere in grado di autoregolamentarsi: “Solo il cielo sa quanto abbiamo bisogno di mostrare agli enti regolatori che siamo in grado di auto-regolamentarci, specialmente dopo che Ftx ha distrutto ogni tipo di fiducia”, ha affermato sempre a CoinDesk Nic Carter, della società di investimenti in criptovalute Castle Island Ventures. “Qualunque exchange rifiuti di sottoporsi a Por sarà soggetto a parecchio scetticismo da parte dei clienti”.
O gli exchange accettano una ferrea regolamentazione esterna o adottano strumenti per dimostrare senza ombra di dubbio la loro affidabilità. È l’unico modo per evitare che la “fine delle criptovalute” da tanti vaticinata si verifichi davvero. Portando invece alla conclusione del far west che ha finora caratterizzato questo settore.