Il puntino al centro dello schermo diventava sempre più grande, fino a mostrare la coppia di piccoli asteroidi. Frame dopo frame è arrivato a riempire per intero lo schermo delle immagini trasmesse dalla sonda Dart della Nasa, e così si è visto accadere tutto come in un videogame, o un film. Fino al lieto fine. Colpito.
Dart ha fatto centro: per la prima volta un oggetto costruito dall’uomo ha impattato contro un corpo celeste con l’obiettivo di cambiarne l’orbita in modo misurabile. Un tiro a segno riuscito da milioni di chilometri di distanza. Era l’obiettivo della missione americana Double Asteroid Redirection Test (Dart, appunto), decollata il 24 novembre 2021 e che si è schiantata, nella notte italiana, contro un piccolo asteroide che orbita attorno al Sole nelle vicinanze della Terra. Quando nel nostro Paese era l’una e un quarto del mattino, Dart si è gettata a tutta velocità contro Dimorphos, la minuscola luna che accompagna un asteroide più grande, Didymos. La prima missione di difesa planetaria nello Spazio profondo è riuscita: è un test per capire, se e quando avvisteremo un oggetto che minaccia di colpire la Terra, come dargli una spallata per deviarlo.
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In diretta il rendez vous con l’asteroide
La Nasa lo aveva preannunciato: “Anche noi vedremo per la prima volta, assieme al pubblico, le immagini trasmesse da Dart da 11 milioni di chilometri di distanza”. E così è stato: sugli schermi del Mission Control Center al Laboratorio di Fisica applicata (APL) della Johns Hopkins University e su quelli dell’Agenzia spaziale Americana, apparivano le immagini scattate dall’unico occhio di Dart, la camera Draco, trasmessi in contemporanea nella diretta streaming. Un puntino che circa un’ora e mezza prima dell’impatto si è risolto in due oggetti. Ecco per la prima volta Didymos e Dimorphos, da una distanza mai raggiunta, per la prima volta apparivano così come sono. Poi Dart, con il suo raffinato sistema di navigazione autonoma, ha aggiustato da sola la rotta per puntare il piccolo satellite dell’asteroide. A 3 minuti dall’impatto tutti gli ingegneri all’APL hanno sollevato le mani dalle tastiere, non restava loro nient’altro da fare che guardare Dart andare incontro al destino.Ha continuato a trasmettere foto, una al secondo, mostrando da vicino Dimorphos, piccolissimo mondo, delle dimensioni della grande Piramide di Giza, ammasso di rocce e polvere. Ora sappiamo com’è fatto proprio grazie a quelle ultime immagini. Dart è piombata come un’aquila da mezza tonnellata delle dimensioni di un’automobile, con l’apertura alare dei pannelli solari di quasi 20 metri, alla velocità di 6,6 chilometri al secondo. Oltre 23mila chilometri all’ora. Un botto equivalente, secondo gli studi, a circa 3 tonnellate di tritolo. Poi tutto è diventato buio. Il segnale si è interrotto, ulteriore conferma che tutto è andato bene.
Dart è distrutta, le antenne del Deep Space Network della Nasa non riceveranno più nulla da lei. Ma a osservare tutto c’era Liciacube, la testimone italiana di questa missione storica. Costruita dalla torinese Argotec per l’Agenzia spaziale Italiana, Liciacube è un cubesat grande come un microonde, decollata assieme a Dart, un paio di settimane fa si è staccata dalla sonda madre per volare in sua compagnia. Pochi minuti prima dell’impatto si è posizionata in modo tale da riprendere tutto da una distanza di sicurezza. Nelle prossime ore vedremo se con le sue due camere, Luke e Leia, è riuscita a riprendere la nuvola di detriti che ci si aspetta sia stata proiettata dallo scontro. E così avere una prima stima dell’effetto dell’impatto.
Liciacube è la prima sonda interplanetaria tutta italiana, proiettata nello Spazio profondo e destinata a continuare a viaggiare nel buio dopo avere ripreso le conseguenze dell’impatto. Si orienta con un sistema autonomo di navigazione in grado di riconoscere gli obiettivi verso cui deve puntare. Compirà il sorvolo senza aiuto da Terra, passando a circa 55 chilometri di distanza. Farà tutto da sola. Un po’ come la sorella Argomoon, anch’essa uscita dai stabilimenti Argotec, pronta in lampa di lancio per fare da comprimaria a un’altra missione storica della Nasa: Artemis. Per lo straordinario evento, tra gli spettatori c’erano anche due osservatori speciali. Hanno rivolto il loro occhio verso Didymos e Dimorphos i telescopi spaziali più potenti: Hubble e James Webb. Si è voltata in quella direzione anche Lucy, la missione della Nasa mentre viaggia verso Giove e le sue Lune.

Come capiremo se ha funzionato
Le immagini di Liciacube non bastano. Il sistema binario di Didymos sarà un osservato speciale soprattutto nelle prossime settimane. Vedere entrambi gli asteroidi da Terra, infatti, non è impresa facile. Sono piccolissimi anche per i telescopi più potenti. Però hanno una caratteristica peculiare, che è anche il motivo per cui sono stati scelti: insieme costituiscono un sistema binario a eclissi. Significa che, osservandoli dalla Terra, la loro luminosità cambia regolarmente quando uno dei due passa davanti all’altro. Ed è proprio misurando, con le osservazioni dei telescopi, come cambierà questo periodo, che corrisponde al periodo di rivoluzione di Dimorphos attorno a Didymos, che gli astrofisici riusciranno a calcolare di quanto l’orbita di Dimorphos è cambiata. E quindi gli effetti del test cinetico.
Questo sarà uno degli esami cruciali per la missione Dart e per valutare il sistema di difesa planetaria. Di Dimorphos si sa infatti molto poco. Se dovesse essere un asteroide duro e monolitico, il colpo lo sposterebbe di una certa misura, scavando un piccolo cratere, avvicinandolo a Didymos e aumentandone la velocità orbitale. Se invece dovesse essere quello che in gergo viene definito come rubble pile, cioè un cumulo di pietrisco, un ammasso di rocce, polvere e ghiaccio poco coerente, tenuto insieme dalla bassissima forza di gravità, sarebbe un oggetto molto meno denso. Il materiale proiettato indietro dall’impatto avrebbe un effetto di propulsione, accelerandolo e avvicinandolo molto di più a Didymos. Tutto questo lo si vedrà, in primis, dalla frequenza con cui aumentano le eclissi del sistema binario. Per capire com’è andata, “occorrerà attendere alcuni giorni o settimane - ha sottolineato Tom Statler, della Nasa - perché questa piccola differenza del periodo delle eclissi diventerà più marcata mano a mano che passano i giorni”.
E poi c’è Hera, la missione europea che decollerà nel 2024 per raggiungere Didymos e Dimorphos nel 2026. Arriverà a cose fatte, ma porterà con sé molti strumenti per capire, come un investigatore, quello che è successo. A cominciare dalla forma e dalle dimensioni del cratere lasciato da Dart. Hera resterà in orbita attorno alla coppia di asteroidi per mesi, avrà tempo per studiare la composizione del piccolo satellite, analizzando con speciali camere dotate di spettrometri i materiali rivelati dal cratere. Saranno informazioni di grande valore scientifico, perché gli asteroidi sono rimasugli della formazione del Sistema Solare. Ma lo scopo principale sarà valutare con precisione quanto male ha fatto Dart a Dimorphos, quanto forte è stata la sua spallata.

Non se, ma quando
Non ci sono asteroidi conosciuti, di dimensioni tali da minacciare la Terra, in rotta di collisione nel prossimo secolo. Tuttavia la storia e le cicatrici che porta il nostro pianeta dicono che prima o poi capiterà di nuovo. Secondo la Nasa conosciamo praticamente tutti quelli grossi abbastanza da causare un disastro planetario (per avere un’idea, l’asteroide che sterminò i dinosauri fa aveva un diametro di circa 10 chilometri). Ma ce ne sono altri, grandi almeno qualche centinaio di metri, cioè come Dimorphos, che ancora sfuggono alle osservazioni e che potrebbero comunque causare danni a livello regionale o continentale. Sollevare tsunami alti come montagne, e spazzare via milioni o miliardi di vite. Ne conosciamo circa i due terzi. Qualcosa potrebbe dunque sbucare dal nulla e farci tremare. Ecco perché è meglio farsi trovare pronti.