Il (quasi) boom dei podcast sta innescando tendenze e fenomeni importanti. Come la fiammata di Clubhouse, piattaforma dove oggi sopravvive un bellicoso manipolo di irriducibili, ma che a inizio 2021 dette il via alle danze, certificando la riscossa della voce nell’ecosistema social e digitale. Ovviamente senza dimenticare gli assistenti digitali con cui ci interfacciamo ogni giorno, da Alexa a Siri, passando per quello di Google: con loro dialoghiamo, le loro intelligenze artificiali si fanno sempre più raffinate e spesso ci rimproverano perché non siamo abbastanza educati. E poi come sorvolare sugli audiomessaggi che ci scambiamo ogni giorno via chat? Solo su WhatsApp, sono circa 7 miliardi al giorno.
Il 16 aprile è il World Voice Day, la Giornata mondiale della Voce, e dopo la fase della scrittura che ha caratterizzato la prima era dei social network, fatta di infiniti post testuali, seguita da quella dei video incubata da YouTube, tuttora in corso con l’esplosione di TikTok e dello streaming del gaming, è ora il momento dell’oralità. Anzi, di una nuova oralità.
Anche se questa ricorrenza sarebbe in realtà un appuntamento prevalentemente dedicato al lato sanitario: nata in Brasile nel 1999, la Giornata della Voce nasce innanzitutto per sensibilizzare l’opinione pubblica contro le patologie vocali. Ma in qualche modo sfodera anche un lato psicologico, creativo e tecnologico, che appunto coinvolge la nostra dieta mediatica quotidiana, ormai invasa di voci più di quanto non fosse appena un paio d’anni fa.
"Ti mando un vocale", ma di 30 minuti: l'ultima novità di Messenger è per chi ha tanto da dire
I podcast, un boom di costume e cultura
Grazie ai podcast, per esempio, su cui colossi come Spotify puntano sempre di più, tanto da moltiplicare le acquisizioni societarie (le ultime del gruppo di Daniel Ek sono Podsights e Chartable), gli show originali e gli strumenti per tentare di monetizzare un mondo ancora lontano dal trovare una vera sostenibilità finanziaria. Stando a una ricerca Ipsos, nel 2021 il 31% degli italiani ha ascoltato almeno un podcast in un arco di 30 giorni e gli ascoltatori mensili sfiorano quota 9,3 milioni, contro i 7 del 2019. Non solo: il tempo medio dedicato all’ascolto quotidiano è molto alto, circa 40 minuti, una permanenza che molti editori digitali si sognano sui contenuti scritti: se l’11% ascolta fino a 10 minuti al giorno, un corposo 28% ci passa fino a mezz’ora e il 6% più di un’ora. Soprattutto, sempre secondo lo studio, i podcast stanno costruendo una nuova audience, fatta di un pubblico contraddistinto da profili socio-culturali qualificati. Il che, a pensarci bene, potrebbe anche aprire qualche discussione sulle sue effettive potenzialità popolari in senso assoluto. Rimane il fatto che sta crescendo una generazione di autori che, più della faccia, vuole metterci la voce.
Le chat e le mille funzionalità per gli audiomessaggi
Sulle chat abbiamo già visto numeri incredibili, e prova del successo della vocalità (con buona pace di chi detesta quel formato) è testimoniata dagli aggiornamenti che WhatsApp sta dedicando ai messaggi audio negli ultimi tempi. Fra questi l’accelerazione della riproduzione di 1,5 volte o del doppio della velocità, il riascolto prima dell’invio, la possibilità di mettere in pausa la registrazione. Ancora: l’ascolto del messaggio in background, mentre saltiamo su altre conversazioni, o la possibilità di riprendere da dove avevamo lasciato. Perfino la scelta di fornire un’indicazione fedele della forma dell’onda sonora dà l’idea di quanto l’oralità sia tornata al centro delle dinamiche di comunicazione giornaliere.
Gli assistenti vocali, l’oralità che dialoga con l’IA
Ad aprire la strada ormai da anni erano stati gli assistenti vocali, che hanno colonizzato ogni ambiente casalingo e ci seguono ovunque andiamo, vivono nello smartphone o nel sistema dell’auto, dando istruzioni agli oggetti smart di cui ci serviamo o, più semplicemente, fornendoci informazioni, consentendoci di usare smartphone e altri dispositivi sovrapponendoli ad altre attività. Lo scorso anno gli italiani hanno interagito più di 5 miliardi di volte con Alexa, servendosi delle migliaia di skill (le app vocali) proposte dai partner e dagli sviluppatori terzi. In 3 anni, dallo sbarco dell’assistente vocale in italiano, le interazioni sono state 10 miliardi, le ore di musica ascoltate 450 milioni e le chiamate 28 milioni. Tutto senza muovere un dito, con un semplice “Alexa” o, su altri fronti, “Hey Siri” o “Hey Google” (Cortana di Microsoft è ormai andata in pensione). In tutto il mondo, Siri riceve ogni mese 25 miliardi di richieste vocali (i dati arrivano da Cupertino e sono di un paio di anni fa, dunque da rivedere al rialzo) tramite iPhone, gli altri dispositivi dell’ecosistema e gli HomePod. Entro 3 anni, il mercato globale degli smart speaker, che dopo i telefoni sono i dispositivi in cui vivono queste intelligenze che arricchiscono le nostre esistenze, varrà 35 miliardi di dollari.
In principio fu Clubhouse
Non proprio in principio, visto che Twitter era perfino partita in anticipo sugli spazi audio di discussione che sul social finito nelle mire di Elon Musk ancora sopravvivono. Ma nel secondo anno della pandemia questa sbornia da oralità ha trovato 3 mesi di eccitazione in Clubhouse, la piattaforma fondata da Paul Davison e Rohan Seth e fortemente sostenuta dal potente fondo Andreessen Horowitz. Ha perso da mesi l’attenzione che lo circondava e pur di non precipitare nell’oblio ha fatto debuttare parecchie novità (la chat, Music Mode, Wave per aprire rapidamente stanze private, ancora prima i pagamenti ai creator) e ha comunque fatto scuola: per esempio, Amazon ha creato Amp, un social network (ancora in beta) in cui gli utenti possono creare stanze audio e riprodurre in diretta canzoni da un catalogo di oltre 10 milioni di brani. Apple ha invece incluso Passeggiamo nel pacchetto della piattaforma Fitness Plus: è un podcast per il Watch con protagonisti grandi nomi dello spettacolo, dell’attivismo e dello sport dedicato a ispirare le persone con storie a metà fra ricordi e musica. Anche se su quel fronte le grandi piattaforme stanno mettendo ordine nel caos e nelle forsennate rincorse dello scorso anno: Bloomberg parla per esempio di un disinvestimento di Meta relativo a novità presentate in tutta fretta nella primavera del 2021 per Facebook, come le stanze audio dal vivo, l’apertura ai podcast e la possibilità di pubblicare brevi tracce audio come post. E forse è giusto così, come la quiete dopo la tempesta.
Gli audiolibri, una storia reinventata nel XXI Secolo
Affini ai podcast, ma lontani per fruizione, sono gli audiolibri. Un formato nato negli anni Trenta negli Stati Uniti come supporto per i non vedenti (si chiamavano Libri Parlanti) che ha poi vissuto, tramite il Dopoguerra e più avanti la diffusione degli walkman negli anni Ottanta, una storia molto più lunga e interessante di quanto si creda e che meriterebbe un servizio tutto per sé.
Il primo player dedicato fu inventato da Audible nel 1997, cioè 4 anni prima del primo iPod: il gruppo tedesco nato nel 1995 sarebbe poi finito 13 anni più tardi nelle mani di Amazon. Anche gli audiolibri, forse i più vecchi fra tutti i formati audio di questa nuova oralità, hanno in qualche maniera goduto di questo trascinamento: in molti li hanno scoperti e apprezzati nel primo anno di pandemia. Nel 2021 la fruizione è cresciuta non poco, registrando un +11% (per un totale di 10 milioni di ascoltatori) rispetto al 2020. Per i dati di una ricerca NielsenIQ per Audible (uno dei due principali player insieme a Storytel, cui si affiancano piattaforme come AudioTeka, Librivivi, LiberLiber e LibriVox), l’Italia è il secondo Paese in Europa per fruizione di contenuti audio: il 46% ha dichiarato di averne ascoltati nel corso dell’ultimo anno, davanti a noi ci sono solo gli spagnoli col 55%, dietro il Regno Unito (35%), la Germania (42%) e la Francia (37%).
Fra l’altro, gli italiani apprezzano i contenuti originali, cioè le storie scritte proprio per essere narrate in voce dall’autore (o da un attore) soprattutto in letteratura e narrativa, audiolibri per l’infanzia, biografie e memorie. E sono pochi quelli che fanno altro durante l’ascolto: audiolibri e podcast ci si dedica in pieno relax. Il pregio? Contrastare la cosiddetta screen fatigue, l’affaticamento da display di smartphone, tablet e pc: il 64% degli intervistati dichiara di passare troppo tempo davanti agli schermi. E attivare uno speaker, o indossare un paio di cuffie, consente comunque di informarsi, distrarsi o conoscere cose nuove accompagnati dalle mille sfumature di una voce.