Speciale 150 anni Reyer: tutto quello che c’è da sapere, e da ricordare
Ripercorriamo le tappe di una storia lunga, fatta di cadute e trionfi. Il mito della Misericordia e tutti i personaggi nella Hall of Fame della società di basket tra Mestre e Venezia
Fabrizio Brancoli, Michele Contessa e Alberto Vitucci
Duri i banchi: la Reyer Venezia festeggia i suoi 150 anni
La bellezza e l’orgoglio
Il più forte e sottovalutato playmaker della storia della Reyer è Jacopo Tatti detto il Sansovino, ingaggiato con contratto pluriennale dal Doge Andrea Gritti. Nel 1534 il Sansovino progetta nel sestiere di Cannaregio la Scuola Nuova della Misericordia, che al secondo piano, nel Novecento, ospita il basket in quella che è stata definita, senza alcuna discussione possibile, la palestra più bella di tutti i tempi.
Per vincere il campionato del Rinascimento il Doge mette sotto contratto anche un pivot fortissimo, prodotto del vivaio regionale: Paolo Caliari, detto il Veronese, la cui scuola firma affreschi sublimi nelle navate del pian terreno. Può, una squadra nata e prosperata facendo canestri lì dentro, essere una squadra “normale”? Non può. Appunto.
La Reyer resta nel cuore perché è bellezza e sorpresa, come questa storia. È talentuosa e guerriera, sa soffrire e liberarsi. Conosce i dolori, le sconfitte, i fallimenti; ma sa anche che il trionfo è sempre possibile. Quando vince la Reyer vinciamo un pochino tutti (sì, anche gli avversari) perché è l’affermazione dell’identità e il mito dell’orgoglio.
La Reyer se giocasse a pallone (e non sia mai!) sarebbe il Toro, se facesse la guerra sarebbe la Scozia degli Highlanders e se suonasse musica sarebbe Antonio Vivaldi: popolare, estroso, innovatore, ardito. Invece è una squadra di basket, di uomini e donne speciali, in campo e in tribuna.
Una squadra di scudetti e drammi, di classe e di popolo. Nata come presidio della Venezia storica, ha saputo mutare la sua vocazione, fino ad abbracciare e a unire territori diversi e passioni diverse: il canestro più importante. Compie un secolo e mezzo e merita ogni gloria.
Buon compleanno, ragazzina
(Fabrizio Brancoli)
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La cronistoria tra trionfi e cadute
I primi scudetti. Il SEF Costanza Milano vince nel 1920 il primo titolo, la Reyer è presente, vivendo stagioni magiche durante il secondo conflitto mondiale con gli scudetti del 1942 e ’43 firmati da Carmelo Vidal in panchina. La Reyer vincerebbe anche il titolo nel 1944, ma quel trionfo non verrà mai omologato. Nel 1946 arriva anche lo scudetto femminile, squadra guidata da Amerigo Penzo.
Ascensore. Negli anni Cinquanta si gioca anche il derby cittadino con la Junghans, ma iniziano pure i problemi con la retrocessione in B nel 1957, il ritorno immediato nel massimo campionato, poi addirittura la ripartenza dalla C con due figure storiche che pilotano la risalita granata, Gigi Marsico e Giulio Geroli che nel 1964 riporta la Reyer in Serie A.
È iniziata nel 1962 la presidenza di Giancarlo Ligabue, che durerà ininterrottamente fino al 1979, salvo in biennio 1973-75, arrivano la prima sponsorizzazione (Noalex nel 1966) e il gigante Djuric (nel 1965), dopo Mauch, Klein, Stephanidis e Dooley negli anni ’50.
L’età di Zorzi. Nel 1971 piomba in laguna un giovane tecnico, Tonino Zorzi, la Reyer rialza prepotentemente la testa, la Misercordia si trasforma in un catino bollente. Nel novembre del 1972 la Reyer festeggia il centenario, in primavera era arrivata quarta in campionato, si presenta a Venezia un giovane Steve Hawes, quarto posto bissato nel 1974.
Sono anche gli anni del marchio Canon e dell’esilio forzato a Vicenza, emergono le stelle Carraro e Gorghetto, nel 1977 è inaugurato il palasport dell’Arsenale, ma due anni dopo Venezia retrocede in A2 dopo lo spareggio di Bologna con Pesaro.
Anni magici. Ligabue lascia la presidenza a Carrain, il professor Guerrieri non centra la promozione, la Reyer si riaffida a Zorzi allestendo una squadra monstre con Dalipagic e Haywood, Carraro e Gorghetto, Grattoni, Della Fiori e Serafini. Campionato di A/2 nel 1980-1981 vinto da dominatori, finale di Coppa Korac buttata al vento a Barcellona contro la Juventut, quarti nei playoff persi con Varese, con la chicca dei derby contro il Basket Mestre di Celada.
L’effetto magico è di breve durata, i grandi protagonisti se ne vanno, la squadra ritorna in Serie A/2 e nel 1985 muore in un incidente stradale il presidente Antonluigi Lelli, ex giocatore e general manager, figura storica del club.
Il passaggio del ponte. Tocca ancora a Zorzi e Dalipagic, affiancato da Radovanovic, riportare la Reyer, targata Giomo, in Serie A/1 nel 1986, le redini della società sono nelle mani dell’avvocato Manganiello. Tre anni dopo la Reyer retrocede nuovamente, nel 1990 la dirigenza, guidata da Roberto Malusa, decide di trasferirsi al Taliercio.
Il primo risultato? La retrocessione in Serie B, sanata in estate dalla fusione delle due formazioni livornesi: la squadra è affidata a Mario De Sisti che compie l’ennesimo “miracolo” con il sindaco Ugo Bergamo presidente, promozione e salvezza, prima della ricaduta in Serie A/2 nel 1993. Anni difficili, situazione economica disastrosa, ma Francesco Vitucci realizza l’impresa di conquistare il salto in A/1, vanificato dal fallimento della società nel 1996.
Gli anni della risalita. La Reyer riparte grazie al lavoro di Mauro Pizzigatti e Giovan Battista Pettenello, si costituisce una public company di quasi 400 soci. Nel 1997 la Reyer acquisisce il titolo del Chirignago per disputare la Serie C/2, la risalita sarà lenta: promozione in C/1 nel 1998, in Serie B/2 nel 2000, la Reyer ritorna per qualche stagione all’Arsenale, Panto e Bertoncello si succedono alla presidenza, Daniele Rubini confeziona un triennio da protagonista, culminato nella promozione in B d’Eccellenza nel 2006 superando Trento al Taliercio.
L’età del’oro. Nel 2006 inizia l’era Umana con l’avvento di Luigi Brugnaro che riunisce sotto un unico tetto squadra maschile e squadra femminile, diventando presidente fino al 2015 quando ha lasciato la carica a Federico Casarin. Arriva il doppio salto dalla B alla Serie A, la Reyer di Walter De Raffaele mette in bacheca due scudetti (2017 e 2019), una Fiba Europe Cup (2018) e una Coppa Italia (2020), che si aggiungono alla Winter Cup vinta da Dalmasson (2007). Nel femminile Ticchi conquista scudetto e Supercoppa (2021), Riga aveva fatto la doppietta Coppa Italia e Supercoppa (2008), Liberalotto il doppio salto dalla B d’Eccellenza alla Serie A e le due Coppe Italia di B (2012) e serie A2 (2013).
(Michele Contessa)
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Tutti i protagonisti
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Stefanini, “bisato demonio”. In quattromila per la prima in Arsenale
L’attraversamento di tre secoli, pillole di ricordi, aneddoti, passati e recenti. Il percorso della Reyer attraverso le vicende dei suoi protagonisti.
Il demonio. “El xe un bisato, un bisato demonio”, così veniva descritto dagli avversari Sergio Stefanini, campione d’Italia con la Reyer nel 1942 e 1943, poi ne avrebbe vinti altri 5 con la maglia dell'Olimpia Milano, poi due Olimpiadi a Londra (1948) e Helsinki (1952): il primo “mito” granata.
Scudetto ignorato.Il terzo scudetto è arrivato solo 5 anni fa, ma la Reyer avrebbe fatto tris già nel 1944, al termine del girone a quattro disputato in laguna (19 e 20 maggio) con Ginnastica Triestina, Ilva Trieste e Cus Trieste, chiuso con 3 successi. Il reclamo dei dirigenti della Ginnastica Triestina per un ipotetico errore tecnico al tavolo bloccò l’omologazione del risultato: scudetto mai assegnato.
La partita del metro. Prima gara della stagione 1972-1973 con la Norda Bologna, la Reyer si impone (81-78, 22 ottobre), ma quell’incontro passerà alla storia per il ricorso presentato da Gianluigi Porelli, presidente bianconero, dopo aver misurato con il metro la distanza tra il pubblico e il campo (non c’erano i due metri di distanza). Ricorso accettato dalla Federazione , partita da rifare, ma fu ancora più notte fonda per le V nere, travolte (94-78) mesi dopo dalla Splugen degli scatenati Milani e Gennari, autori entrambi di 25 punti. E, a fine partita, i tifosi granata tirarono fuori decine e decine di metri a nastro, quelli che si usano a casa per le misurazioni.
Quattromila anime. Dopo due anni di esilio forzato a Vicenza e un breve ritorno alla Misericordia, il 23 ottobre 1977 viene inaugurato il palasport dell’Arsenale, incuneato tra le case nel sestiere di Castello. Due muri interminabili, 4000 anime granata per salutare la vittoria su Milano.
La migrazione. 39 pullman da Venezia, un record in un giorno triste (21 aprile 1979), quello dello spareggio-salvezza sul parquet neutro di Piazzale Azzarita, a Bologna, con la Scavolini Pesaro (71-86). Reyer costretta a giocare a lungo con un solo straniero, Rick Darnell, dopo il grave infortunio (frattura della tibia) patito da Steve Grant.
La mano di Dio. “Sono stato guidato dalla mano di Dio”, disse l’americano Joe Galvin, dopo la finale della Korac a Barcellona (104-105) nel 1981, riferendosi al tiro che portò la partita all’overtime (Carrera avanti di 9 punti a 1’27” dal 40’) con il trionfo degli spagnoli della Juventut.
Quota settanta. Una targa ricorda all'Arsenale il 25 gennaio 1987, quando Praja Dalipagic affossò la Virtus Bologna di Sandro Gamba segnando 70 punti.
L’urlo di Bramos. Resterà scolpita nella memoria la tripla di Bramos che non assegnò il titolo nel 2017 (18 giugno), con Trento in gara-5 (da 62-63 a 65-63) a meno di 7” dalla fine. Due giorni dopo la Reyer avrebbe conquistato il terzo scudetto.
(Michele Contessa)
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Alla Misericordia il rumore dell’anima
Il rumore. Quel che resta dei tanti ricordi sulla Reyer dei tempi d’oro è quel rumore assordante. Centinaia di scarpe che calcano veloci le scale in legno della Misericordia per salire al piano superiore. La corsa a conquistare i posti più belli. Non c’erano i numeri e le poltroncine allora. Negli anni Settanta si stava sulle gradinate, in piedi sulle finestre accanto agli affreschi, a due passi dalle panchine e dal bordocampo, dagli arbitri e dai giocatori.
Nella Scuola Grande della Misericordia, capolavoro sansoviniano che ha ospitato partite di basket e Serie A fino al 1976, l’anima della vecchia Reyer c’è ancora. Lo si percepisce in quegli spazi antichi ben restaurati, destinati oggi a eventi e cultura dal concessionario, l’attuale sindaco e patron della Reyer Luigi Brugnaro.
L’anima Reyer è una cosa molto speciale. Che unisce generazioni distanti. Vecchie glorie del basket veneziano come Gorghetto, Cedolini, Nane Vianello, Guadagnino, Lessana, Carraro, miti come Steve Hawes, nuovi eroi vincitori di due scudetti in tempi recenti. Pubblico di laguna, dalla tradizione importante e dal palato fine. Che sa di basket e di tecnica. Pubblico di terraferma, che della Reyer ha fatto la sua nuova casa dopo la fusione.
Pubblico esigente. Che critica anche quando la squadra vince. Pubblico sportivo, che applaude gli avversari e in particolare atleti e allenatori che hanno vissuto in laguna stagioni memorabili e hanno fatto fortuna altrove. C’è orgoglio nell’essere “reyerini”, che prescinde dagli equilibri societari, dai presidenti, dagli allenatori.
L’orgoglio e la tradizione che gli avversari temono, perché la Reyer salta fuori all’ultimo. Vince quando la danno per persa e anche quando non gioca bene. Uno spirito sedimentato da decenni di grande basket. Per tanto tempo la Reyer è stata la casa madre di tutte le piccole società veneziane. Die’n’ai e Alvisiana, Julia e San Giobbe, Laetitia, Carmini e Castello. Un serbatoio di futuri campioni e di esperienze indimenticabili.
Chi è venuto in gioventù a seguire la Reyer alla Misericordia non dimentica quello spettacolo. La domenica pomeriggio la fila in fondamenta. Poi l’apertura del portone verde, i vecchi custodi che invitano alla calma. I biglietti al botteghino. La corsa su per le scale. E lo spettacolo. La palestra più bella del mondo, con i santi della scuola del Veronese che guardano atleti e pubblico con fare severo. Poi il tifo, le proteste, la gioia. E il dopo partita, l’attesa dei campioni e gli autografi.
Altri tempi, altro mondo. Oggi le partite si guardano sui social. Tutti sono esperti di basket, allenatori in pectore. Ma lo spirito Reyer sopravvive. Anche lontano dalla Misericordia e dall’Arsenale. Un legame indissolubile. Forza Reyer.
(Alberto Vitucci)
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