In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

«Non avrei mai pensato di vincere due medaglie»

Scherma paralimpica: i ringraziamenti di bebe vio su instagram a medici, tecnici e preparatore

Mattia Toffoletto
2 minuti di lettura
(ansa)

tokyo

Prima l’oro individuale per bissare Rio 2016, lacrime e abbracci che ricorderemo tutti. Poi le rivelazioni da brividi, l’infezione da stafilococco che le ha fatto rischiare la morte. Quindi l’argento nella gara a squadre che migliora il bronzo della Paralimpiade brasiliana, consentendole di esaltare lo spirito di gruppo. Bebe Vio riflette sul turbinio di emozioni degli ultimi giorni, sulle vicissitudini dell’ultimo anno. S’affida a Instagram, dove conta 1, 1 milione di follower, e tira le somme. Un lungo resoconto che diventa manifesto di resilienza, grinta, coraggio. Non abdicando all’incredibile capacità di sdrammatizzare propria della 24enne moglianese.

«Se qualche settimana fa mi avessero detto “A Tokyo vincerai due medaglie”, mi sarei messa a ridere», esordisce, «Per quanto ero messa male consideravo già un miracolo arrivarci, a Tokyo. Ma volevo arrivarci, avevo avuto l’onore di essere nominata portabandiera. Dovevo arrivarci, a tutti i costi».

Poi Bebe riporta le lancette dell’orologio più indietro. Il ricordo della meningite che la colpì da bambina che s’intreccia con la tremenda diagnosi dello scorso aprile: «Venivo da un anno di alti e bassi. Il grave infortunio al gomito a settembre dell’anno scorso, dolorosissimo. I lunghi mesi di riabilitazione. Finalmente stavo meglio. Poi il crollo: infezione da stafilococco aureo. Un altro maledetto batterio, dopo il meningococco di tanti anni fa. Ero messa proprio male. Quando mi hanno detto “Se l’infezione è arrivata all’osso dobbiamo amputare l’arto”, mi è crollato il mondo addosso. Basta amputazioni! Non mi è rimasto più molto da tagliare…». Momenti drammatici ricostruiti con un linguaggio diretto, il più possibile vicino ai coetanei. E si torna con la mente al Galeazzi di Milano, al 4 aprile. Alla lotta contro il tempo per raggiungere Tokyo. «L’operazione, l’infezione debellata, le settimane chiusa in ospedale: quando siamo usciti mancavano 119 giorni alla Paralimpiade», rimarca, «Non ce la farete mai», ci hanno detto. “Ci vogliamo provare? ”, ci siamo chiesti. Passione, coesione, lavoro, fatica. Così, in pochi mesi, siamo riusciti a conquistare un oro e un argento. Cos’è l’impossibile? ». Seguono i ringraziamenti: «Mi hanno salvata le persone. .. Ed è a loro che devo queste vittorie. I medici e i loro staff, che mi hanno ridato la speranza. Mauro (Pierobon, ndr), il fisioterapista che mi ha rimessa a posto ogni volta. Peppone (Cerqua, ndr), il preparatore che ha permesso al mio corpo di prepararsi alle sfide. I maestri della Nazionale, che mi hanno supportata e sopportata. Le compagne, che non hanno mai abbassato lo sguardo. Tutti i miei amici, custodi di questa verità tenuta nascosta per mesi, che nel momento del bisogno mi hanno inondato d’amore. E la famiglia. La mia forza. Il mio tutto. Senza di voi, non ce l’avrei mai fatta». Si torna al presente: «Ora sono felice. Stanca, ma soddisfatta… Quanto n’è valsa la pena! ». —

I commenti dei lettori