Luna Rossa si inchina contro New Zealand «Grazie agli italiani non ci fermiamo qui»
L’avventura finisce 7-3, l’antica brocca resta ad Auckland Sirena: «Opportunità enorme, è mancato solo il risultato»

ROMA
Come in uno stadio di calcio. Sembrava il Maracana, invece era la baia di Hauraki, ad Auckland. Non il Brasile, Rio de Janeiro, il tempio del calcio, ma la Nuova Zelanda, terra di mezzo e capitale della vela. In centinaia ad accogliere, e celebrare, i reduci dall'ultima battaglia in mare che ha assegnato la 36ª America’s ai padroni di casa di New Zealand, decretando il ko tecnico (alla decima regata) di Luna Rossa per 7-3. Nella serie finale, la barca italiana era partita con il vento in poppa, volando sull'entusiasmo dei “foil”, ma è stata riportata - nel giro di qualche strambata - al livello del mare. Il sogno, ancora una volta, è rimasto proibito e si è trasformato in velleità.
Battuta, ma non sconfitta, la “Luna” di Patrizio Bertelli e Max Sirena, del doppio timoniere Bruni-Spithill, è entrata in qualche modo nella storia: innanzi tutto, perché è stata la prima barca a vincere la Prada Cup nuova di zecca, il trofeo che dà allo sfidante il diritto a giocarsi l'antica brocca; e poi, perché ha fatto segnare i primi punti di un equipaggio italiano in una finale di America’s Cup, impresa finora mai riuscita né allo stesso team targato Prada e neppure al Moro di Venezia. New Zealand, che in quanto “defender” ha scelto il terreno più congeniale per mettere in palio la coppa, ma anche le barche e le regole, è stato il team che meritava la vittoria, dall'alto di una straordinaria competitività, ma anche di un mezzo assai performante e molto veloce. I neozelandesi, dopo essere stati inchiodati regata dopo regata sul 3-3 dai “lunatici”, hanno acquisito informazioni sempre più utili e probanti sul proprio AC75 e sono letteralmente decollati, sia con vento forte, sia con una brezza più leggera.
Luna Rossa ha fatto quel che poteva contro dei veri e propri totem del match race: ha lottato, ha quasi sempre prevalso in partenza, ma non è riuscita a scrollarsi di dosso Peter Burling e compagni. È stata una Luna prima aggressiva e poi sempre più nascosta dietro le nuvole del cielo di Auckland, infine calante, opacizzata dalla classe dei “kiwi” che, non a caso, sono al quarto successo. Gli “All Blacks” della vela hanno calato il poker in meno di 26 anni: dopo i trionfi del 1995, a San Diego; nel 2000, ad Auckland (proprio contro Luna Rossa); nel 2017, a Bermuda, contro Oracle, hanno piegato nuovamente Luna Rossa. Ai quattro successi si sovrappongono tre finali perse: nessuno come loro.
«Grazie dell'opportunità, grazie ai ragazzi del team, è un'esperienza che mi porterò nel cuore per sempre - il commento a caldo di Max Sirena, lo skipper di Luna Rossa -. Mi dispiace, non è andata come avremmo voluto, ma è sport, dunque uno vince e uno perde. Ringrazio tutti gli italiani che ci hanno seguito e supportato». Francesco Bruni, co-timoniere della “Luna”, ha rinnovato invece l'appuntamento con l'America’s Cup. «È stata davvero un'esperienza fantastica, complimenti a New Zealand per il lavoro eccezionale. Complimenti anche a noi: abbiamo dimostrato di potercela fare. Siamo stati un po’ sfortunati negli ultimi giorni, ma abbiamo svolto un ottimo lavoro. Questa non è una fine, Bertelli e Luna Rossa ci riproveranno». Lo sfidante ufficiale della 37ª America’s Cup è già formalmente designato: saranno gli inglesi di Ben Anslie e del magnate Jim Ratcliffe (“Mister Ineos”) a interfacciarsi con i neozelandesi per scrivere le regole. Molto dipenderà dalla conferma dello sponsor Emirates o dal suo eventuale disimpegno, che nel caso potrebbe indurre qualche velista a “emigrare”, come avvenne prima della coppa 2003, poi vinta da Alinghi. Il Governo neozelandese vorrebbe confermare la disputa della coppa “in casa”, malgrado le avance di qualche sceicco. Ma, quel che conta, è che Luna Rossa ci sarà. —
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