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Silvestrin, l’uomo delle tre promozioni Reyer: «Ma la ferita del ’96 fa ancora male»

Ha giocato in numerose squadre ma ha raccolto in orogranata le gioie più grandi. Un rimpianto: non aver chiuso la carriera in Serie A/1. L'intervista

Michele Contessa
3 minuti di lettura

VENEZIA. Dalla Reyer alla Reyer, dall’Arsenale all’Arsenale passando per il Taliercio, vicinissimo alla “sua” Favaro Veneto. Un viaggio a ritroso nel tempo per Luca Silvestrin, l’ala-pivot con il basket nel sangue, tanto da indossare nuovamente canotta e pantaloncini per partecipare a Mondiali ed Europei Master fino a pochi anni fa, quando ha dovuto arrendersi a un tendine d’Achille consumato.

Diciotto stagioni tra A/1 e A/2, quasi seicento partite disputate, lasciando un ottimo ricordo in ogni piazza dove ha giocato, con un primato difficilmente eguagliabile: tre promozioni con la maglia della Reyer, due salendo in Serie A/1 e una in Serie B/2, ottenute a distanza di quasi vent’anni tra la prima e l’ultima. Da Tonino Zorzi a Riccardo Costantini, in mezzo Francesco Vitucci e l’indimenticabile, quanto vano, trionfo del 1996.

Cosa ha rappresentato la Reyer nella sua carriera?

«È la società dove sono cresciuto, sono arrivato in granata che ero un ragazzino e sono tornato che ero un uomo. Il club dove ho vissuto una delle stagioni più incredibili della mia carriera, dove mi sarebbe piaciuto disputare il mio ultimo anno in A/1, ma purtroppo tutti sanno come andò a finire nel 1996 dopo la promozione. Alla fine sono tornato nel 1999, per la mia ultima stagione, ma eravamo in C/1».

Tre promozioni con la Reyer, la prima fu la più scontata nella stagione 1980-1981?

«Beh, se non vincevamo quel campionato di A/2 sarebbe stato un dei più grandi flop nella storia del basket italiano. Secondo me, fatti i parametri con le regole del tempo, è stata la Reyer più forte di tutti i campionati disputati con solo due stranieri nel roster. I riflettori erano accesi soprattutto su Haywood e Dalipagic, ma c’erano anche Della Fiori e Serafini, due giocatori da Nazionale, poi Carraro e Gorghetto, oltre a giovani come me, Gracis e Grattoni che avrebbero avuto una lunga e positiva carriera. Era un roster fenomenale».

Brucia ancora la finale persa di Coppa Korac?

«Eccome, quella partita non la vinse la Juventud Badalona, la perse la Reyer. Possiamo star qui ore a parlare di quella gara, del condizionamento ambientale giocando a Barcellona, praticamente in casa dei nostri avversari, dei tiri liberi non tirati, del fallo nettissimo su Grattoni non fischiato dagli arbitri, ma una squadra con la nostra esperienza avrebbe dovuto gestire meglio il vantaggio di 7-8 punti accumulato a un minuto e mezzo dalla fine. È stata una grande incompiuta. Ecco perché dico che quella squadra, con quel potenziale, avrebbe potuto fare di più, come vincere quella coppa».

Anche in campionato si potevano evitare alcuni passi falsi?

«Ci può stare di perdere qualche partita. In quelle stagioni, chi veniva promosso in Serie A/1 partecipava ai playoff, noi eliminammo Forlì, ma ci fermammo davanti a Varese, una squadra che in quegli anni vinceva anche in Europa, nei quarti di finale».

Grande personalità di Dalipagic al cospetto di Haywood?

«Praja era fenomenale. In una partita, Spencer rimase immobile nell’area avversaria, mentre gli altri quattro compagni tornavano in difesa. Dalipagic catturò il rimbalzo, vide Haywood dall’altra parte del campo e gli lanciò il pallone rasoterra e lentissimo, tanto che gli arbitri fischiarono a Spencer infrazione di 3”. Come dire: torna anche tu in difesa. Due caratteri diversi, grande rispetto e mai seri contrasti».

Scontata la prima promozione, imprevedibile la seconda?

«All’inizio del 1995, tutti ci inserirono tra le candidate alla retrocessione, ma la squadra non era così scarsa, anche se i problemi societari c’erano e ce ne rendemmo conto fin dal ritiro a Domegge per arrivare alle partenze al pomeriggio per andare a giocare le finali promozioni a Rimini. Io e Mastroianni prendemmo per mano il gruppo, tutti fecero un campionato di altissimo livello con la ciliegina di Burtt in squadra. Vincemmo tante partite punto a punto, fino alla clamorosa rimonta contro Rimini».

Giocatore difficile da gestire Steve Burtt?

«Non più di tanto, sapeva di essere il più forte del gruppo, ma instaurò un rapporto solido con Vitucci. Ricordo che quando si infortunò, ritornò a curarsi negli Stati Uniti e noi vincemmo ugualmente 4 partite su 6. Non so se questo incise su di lui, quando tornò, portò regali per tutti. Vitucci credo sia uno degli allenatori che sappia più di altri tirare fuori tutto quello che hanno i giocatori della sua squadra, vedi i risultati che ha ottenuto anche con Brindisi nelle ultime due stagioni. Meriterebbe di allenare una big del campionato».

Come ha vissuto il fallimento?

«Male, fu un evento doloroso, pregustavo già di chiudere la carriera in A/1 con la Reyer. Non fu possibile, ma iniziai a pensare seriamente al futuro, così da avviare la mia attività di consulente finanziario».

Nel 2000 l’ultimo exploit, seppure in Serie C/1, un finale da vincente?

«Mi chiamarono l’anno prima per dare una mano, sono riuscito a chiudere con un’altra promozione con la Reyer superando Castelguelfo in finale. C’era Costantini in panchina, ma ebbi la fortuna di conoscere anche Sales, un tecnico che ricordo con affetto come Guerrieri».

Segue ancora la Reyer?

«Quando posso, vado al Taliercio, la crescita del club è stata esponenziale. È un basket diverso dal mio, quando gli stranieri completavano i roster e non viceversa. Vincere non è mai facile, anche se ci sono grandi investimenti: quattro titoli in quattro anni non li ha ottenuti nessuno in Italia negli ultimi tempi».–

 

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