«Nibali si sta riprendendo e punta tutto sul Mondiale»
Parla il miglior direttore sportivo italiano del 2017: «Vincenzo correrà la Vuelta per allenarsi in vista di Innsbruck»
Davide Vatrella
treVISO
Se Paolo Slongo, il tecnico trevigiano di 46 anni, è stato nominato l’anno scorso miglior direttore sportivo del ciclismo italiano, i motivi non mancano. Quando parli di lui pensi subito a Vincenzo Nibali, ma l’attuale capo allenatore del Team Bahrain Merida e preparatore del fuoriclasse siciliano, ha legato il suo nome a tanti altri ciclisti di successo. Quando, dal 1997 al 2000, Moreno Argentin e Fortunato Cestaro lo hanno chiamato a San Donà per seguire il vivaio della Roslotto-Zg (dov’è stato nominato anche team manager) ha scoperto l’austriaco Bernhard Eisel, il veneziano Simone Cadamuro e il vicentino Angelo Furlan, atleti tutti approdati al professionismo. Il legame con la provincia di Venezia continua anche dal 2008 al 2013, quando è direttore sportivo della Liquigas a San Donà, dove comincia a occuparsi di qualsiasi cosa, dalla preparazione ai ritiri, all’alimentazione e psicologia. Con lui si affermano, oltre a Nibali, ciclisti del calibro del tre volte campione del mondo Sagan, Viviani e Basso.
Ma torniamo all’attualità e concentriamoci sull’intervento chirurgico che, il 31 luglio, Vincenzo Nibali, ha subito ad opera del luminare Vincenzo Broggi alla clinica La Madonnina di Milano per ricomporre la frattura composta della decima vertebra toracica. Lo Squalo, caduto il 19 luglio durante la tappa dell’Alpe d’Huez del Tour del France, complice l’impatto con la cinghia di una macchina fotografica di uno spettatore, punta tutto sul Mondiale di Innsbruck del 30 settembre.
«L’intervento è andato bene», inizia Paolo Slongo, «già da venerdì Vincenzo avrebbe dovuto salire sui rulli, ma, purtroppo, è sopraggiunta la morte di suo nonno e, per questo motivo, Vincenzo è dovuto volare in Sicilia per i funerali. Comunque, siamo in linea con i tempi di recupero. Penso che, dopo due-tre giorni di rulli, Nibali possa tornare sulla strada. L’obiettivo è essere al via, il 25 agosto, della Vuelta, la “palestra” ideale per il Mondiale di Innsbruck».
È stato un brutto Tour con un clima ostile nei confronti del Team Sky e soprattutto l’organizzazione avrebbe potuto evitare che il pubblico venisse a contatto con i corridori.
«Nel caso della caduta di Vincenzo, uno spettatore ha preso con il laccio della macchina fotografica il manubrio e il freno della bici di Nibali, causando così la sua rovinosa caduta. Il percorso era transennato e non si è capito perché siano oltrepassate dalla gente. È stato un Tour, la corsa a tappe più importante al mondo, con molte pecche organizzative, che hanno messo in mostra che i ciclisti non sono più al centro delle attenzioni: al primo posto ora c’è il business».
Penso che Nibali abbia la possibilità di vincere, dopo due Giri d’Italia, un Tour de France, una Vuelta per non parlare del Lombardia e della Milano-Sanremo di quest’anno, finalmente il suo primo Mondiale?
«Il circuito si addice alle sue caratteristiche, Vincenzo è l’unico corridore in attività che possa vincere, allo stesso tempo, sia le classiche di un giorno che le grandi corse a tappe. Ora bisognerà vedere come va alla Vuelta, ma sono fiducioso. Sicuramente la nazionale azzurra, come ha assicurato il ct Cassani con il quale sono frequentemente in contatto, sarà tutta con lui».
Che rapporto ha con lo Squalo?
«Inizialmente, da buon siciliano, era un po’ diffidente e titubante. Ho visto subito che era un cavallo di razza, però non usava metodi scientifici in allenamento. Con il passare del tempo si è creato fra di noi un rapporto di profonda amicizia, fiducia e confidenza: Vincenzo, quando ha il minimo problema, non esita a chiamarmi. Si può dire che ci vediamo più fra di noi che con le nostre rispettive consorti».
Cosa deve a Nibali?
«A Vincenzo devo tanto, puoi essere un ottimo preparatore, ma senza un campione come lui la gente farebbe fatica ad accorgersene. Nel 2013, quando è stato tesserato dall’Astana, sono rimasto per un’altra stagione alla Liquigas trionfando al Giro d’Italia. Poi siamo tornati ad essere una “coppia” nel 2014. Un rapporto meraviglioso esteso al medico Emilio Magni, al fisioterapista Michele Pallini e allo psicologo Pier Marino Rosti».
Alla Bahrain Merida si può dire che non le manchi niente, ma anche i dieci anni alla Liquigas sono stati indimenticabili.
«In quella società, presieduta da Paolo Zani, ho trascorso anni bellissimi, ho visto crescere ciclisti come Viviani, Sagan, Guarnieri, Furlan ed Eisel, ma era tutto il vivaio a fungere da motore ai professionisti. San Donà ha rappresentato una piazza straordinaria e mi dispiace ora che non ci sia più alcuna società che possa dar sfogo ai tanti giovanissimi ed esordienti che si mettono in evidenza».
Un peccato per tutto il movimento del Basso Piave...
«Sicuramente ed è un problema che la Federazione dovrebbe risolvere. I giovanissimi e gli esordienti più promettenti di San Donà e dintorni possono essere solo in parte assorbiti dalle vicine società trevigiane, ma la maggior parte di loro, è inevitabile che si perda per strada. Quand’ero alla Liquigas ho organizzato per cinque anni, dal 2008 al 2013, una specie di stage per i bambini e, a ogni mini-ciclista, davamo una specie di kit. Ecco questa è una cosa che forse dovrebbe essere riproposta in fretta dai club». —
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