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«In pedana e nella vita come un cobra»

La schermitrice si racconta agli studenti dell’Istituto Salesiano: «Il calcio? Gli atleti a cui non manca nulla abbiano più fame»

di Nereo Balanzin
3 minuti di lettura
MESTRE. Dai primi affondi ancora bambina alle vittorie olimpiche, con la stessa grinta, quella di una delle più grandi campionesse italiane dello sport. Valentina Vezzali ieri mattina ha incontrato a Mestre gli studenti dell'Istituto Salesiano Universitario di Venezia. Ha raccontato in breve la propria vita, quella di campionessa sotto i riflettori e quella di donna. Per cui però «Nulla è impossibile, sportive oltre gli ostacoli», come recitava il titolo dell’incontro.

La Vezzali ha tenuto banco parlando a braccio per due ore intere, allo stesso ritmo che era capace di tenere nei suoi affondi in pedana. A tratti, con quella a stessa grinta mostrata nei ventuno leggendari secondi nei quali alle Olimpiadi di Londra ha recuperato quattro stoccate, mettendo poi a segno nel minuto supplementare la quinta, che le ha consentito di conquistare la medaglia di bronzo in un podio tutto italiano. Vezzali vanta un palmares come nessun altra: vittorie a profusione dall'inizio della carriera al ritiro, nel 2016; ha due figli (Pietro ed Andrea), è parlamentare della Repubblica, Commendatore, Grande ufficiale, Medaglia d'oro al Valore Atletico, eletta sportiva dell'anno in sei occasioni, sportiva del mondo in una. Rappresenta organizzazioni senza fine di lucro. Dove è il punto debole? Che cosa non sa fare?

Il cobra di Jesi. «Non so cantare, non so ballare, ecco perché mi sono prestata a farlo, qualche anno fa. Sono molto disordinata e non sono una grande cuoca. Però ho una mamma che potrebbe essere campionessa olimpica di tegami e fornelli». Sullo schermo alle sue spalle, scorrono le immagini di alcune delle gare che ha dominato. Ma è interessante guardare lei, più che i fotogrammi. Di profilo, con gli occhi anticipa i tempi, osserva sullo schermo punti che solo più tardi, si intuisce, era importante fissare. Le ridono gli occhi, ma increspa le labbra appena: forse ricordando come il maestro, nella palestra di Jesi (Marche), le aveva ricordato, quando era ancora bambina, come sia necessario dominare le trepidazioni. «C'è chi sostiene che la scherma sia come gli scacchi, ma senza aver a disposizione il tempo che negli scacchi si ha. È necessario combinare emozione, istinto, ragione. C'è un soprannome che mi calza bene: cobra. Ed uno di cui sono molto orgogliosa: Vale Oro».

Il primo maestro. Occhi chiari, capelli rosso-castani, è immersa nel mondo dello sport da quando aveva sei anni. «È stato la mia vita; Jesi conta 40.000 abitanti. Eppure, ha conquistato quattro medaglie d'oro olimpiche con quattro atleti differenti. Il mio primo maestro è stato Ezio Triccoli; aveva imparato a tirare di scherma nel campo di prigionia di Zonderwater, in Sudafrica. Glielo avevano insegnato ufficiali inglesi facendogli usare una canna di bambù; tornato a Jesi, ha aperto la sua scuola. Ed è stato un grande innovatore». Chissà come era Valentina prima di diventare “La Vezzali”. «Ero mingherlina; pallidina; magrina. A Triccoli davo del lei; Nella vita, diceva spesso lui, non bisogna mai arrendersi. Ed aveva posto un confine: o andavi bene a scuola, o in palestra non entravi...». Per non correre rischi, Valentina Vezzali si è diplomata alle superiori con 60/60. «Nonostante 80 giorni di assenza per via delle gare. Complimenti, mi ha detto un insegnante: signorina Vezzali, ha vinto anche qui».

Già, vincere: «Ecco, quello era lo scopo. Se vincevo 5 a 1 invece che 5 a 0, ne facevo una tragedia. Un giorno, mio padre ha chiesto al maestro Triccoli fino a che punto sarei potuta arrivare. Triccoli si è messo la mano sul petto: la porto alle Olimpiadi. Erano gli ultimi tempi della vita di mio padre».

«Diceva Triccoli: dimentica tutto, quando cali la maschera sul viso. Esiste solo l’avversario che hai di fronte; e poi quello che avrai dopo. E quello dopo ancora, Fin tanto che non ne rimarranno più: avrai vinto». «Ho avuto la fortuna di avere l'esempio di vere leader, in pedana. Come Dorina Vaccaroni, ed altre. Ho tirato di scherma perché volevo diventare come loro».

La maternità. Valentina Vezzali non rinuncia a niente di quello che vuole dalle proprie giornate. E dai propri anni. «Nemmeno alla maternità per fare sport»: ed in un mondo dove la maternità è un ostacolo, nel gestire la propria vita («nessuno mi può dettare le scelte») non è stata cosa da poco. «Quando è nato il mio primo figlio, avevo preso 30 chili, non mi ero allenata, il mio maestro non stava bene, gli apparecchietti di misurazione erano stati tarati a tempi di reazione più bassi, ed avevo solo quattro mesi per prepararmi». Il Mondiale si giocava a Lipsia, in Germania. medaglia d'oro. «In palestra, interrompevo l'allenamento per allattare».

Bebe. Ha conosciuto Bebe Vio quando aveva undici anni. «Ero a Marsiglia; mi contattò il padre». Un giorno, tempo dopo, Beatrice (che era già Bebe) le ha detto: “Voglio tirare con te”. «Mi ha battuto. Ed io, credetemi, non le ho regalato niente. Non ho mai regalato una stoccata neppure a un bambino. Oggi Bebe èil simbolo dello sport italiano. Olimpico? Paralimpico? È lo stesso...».

Ha detto Valentina: c'è sconfitta e sconfitta. Cosa è mancato, allora, alla sconfitta della nazionale di calcio, pochi giorni fa? «Ci sono federazioni con risorse economiche scarse. Per arrivare in Corea si cambiano tre aerei; si arriva di notte e la mattina, stravolti dal fuso orario, si sale in pedana. O dove si deve. E si vende cara la pelle. Atleti a cui invece non manca nulla devono dimostrare di avere fame. Hanno un ruolo sociale importante; mio figlio conosce tutti i nomi dei calciatori».

Donne e sport. «Sono nel Consiglio federale; unica donna. Nei ruoli apicali, nello sport, siamo davvero poche. Mentre nelle istituzioni deve essere garantita una percentuale, nello sport questo non avviene. Terminata la carriera agonistica, magari una donna si allontana da un ambiente che potrebbe contribuire a migliorare». Lo sport resta agli occhi del pubblico un ambiente privilegiato. «Sono nata e cresciuta in una società che è stata scuola di vita ed in una Federazione eccezionale, ma non me la sento di parlare a nome di ogni persona. Lo sport è meritocrazia; in pedana si va da soli. Ed il risultato te lo guadagni solo se vali. Soltanto così si va avanti: se vali».

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