Chiara, quel sogno azzurro oltre il destino
Sta per uscire un libro che racconta la storia e la vita troppo breve della giovane Pierobon, morta per un malore in Germania poco prima dei Mondiali U23

SANTA MARIA DI SALA. È morta il 1° agosto di due anni fa, all’ospedale di Ingolstadt (Germania), mentre percorreva la strada che l’avrebbe condotta alla settima prova di Coppa del Mondo. Il 6 agosto 2015 avrebbe dovuto indossare quella sudata maglia azzurra perché aveva ricevuto le convocazioni per la Nazionale Under 23 per i campionati Europei di Tartu, in Estonia, coronando il suo sogno.
Ma Chiara Pierobon, la ciclista salese di 22 anni, dal viso dolce e dagli occhi verdi, quella gara non l’ha mai fatta. Lei, giovane promessa del ciclismo, correva con la Top Girls Fassa Bortolo di Spresiano (Treviso). Quel giorno si sentì male, due singulti e poi cadde a terra. La corsa in ospedale, la chiamata ai genitori e poi quel cuore, che in meno di una frazione di secondo cessò di battere, portandosi via 22 anni di sogni, di progetti, di successi. «Dai dai su ragazze, non si molla mai», ripeteva sempre alle compagne. Per ricordarla, un ricercatore, storico, scrittore, nonché ciclista, Gian Marco Mutton ne ha scritto la biografia: “L’azzurro va oltre il destino”, che sarà presentata il 2 dicembre, alle 16.30, nella sala teatro Pertini di Villa Farsetti, a Santa Maria di Sala. L’autore racconta la vita sportiva della ciclista, anche con foto che ritraggono Chiara Pierobon dai tempi dei giovanissimi fino alla categoria professionisti. Chi era questa atleta? Chi era l’atleta per cui qualcuno ha tentato di trovare lo scandalo, dove scandalo non c’era?
Mutton, un libro su Chiara Pierobon, come mai?
«Un anno dopo il dramma, durante una cena, la nonna materna di Chiara mi guarda negli occhi e mi dice “Gian Marco avrei piacere che tu scrivessi due righe su Chiara perché la voglio ricordare sempre”. L’idea della biografia è nata così: un flash istintivo della nonna».
Come ha conosciuto Chiara?
«Quindici anni fa, in vacanza in una località balneare. Al mattino uscivo con la bicicletta per i miei 70/100 chilometri. Incontravo questa ragazzina che andava ad allenarsi con il nonno. Un giorno abbiamo percorso un tratto di strada insieme e ci siamo conosciuti con le famiglie».
Come ha lavorato per realizzare questo libro?
«Ho cercato di capire gli ideali dei nonni e dei genitori e cosa avrebbero voluto fosse trasmesso leggendo il libro. Era mio dovere rispettare loro. I genitori, i nonni, gli zii, le amiche del cuore di Chiara, il suo ex direttore sportivo e le persone dell’ambiente sono state le maggiori fonti».
Cosa rappresenta Chiara per il ciclismo?
«Il sacrificio, la tenacia, l’orgoglio, la perseveranza, la meticolosità. Un esempio di professionalità ciclistica. Chiara era instancabile, non era mai sazia dei traguardi che raggiungeva».
Il passaggio del libro che l’ha emozionata di più?
«Tutto il libro è un’emozione. La vera emozione è stata ascoltare i familiari. Dovevo fare lunghe pause per distrarli da quel tormento presente in loro. Per non parlare delle amiche del cuore. In quei momenti è stata dura anche per me».
Serenella Bettin
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