L’appello: «Basta scuole di calcio, si giochi in strada: lasciamo libera la fantasia dei bimbi»
Mister Ezio Glerean, il “profeta” della crisi del pallone italiano che nel 2014 prevedeva la mancata qualificazione ai Mondiali
Stefano Volpe
PADOVA. Johan Cruijff, uno dei più grandi giocatori e poi allenatori della storia del calcio, è stato il massimo ispiratore di Ezio Glerean. Lo chiamavano il “Profeta del gol”, è stata una delle pochissime figure in grado di rivoluzionare il gioco. A modo suo, anzi suo malgrado, è stato un profeta anche Glerean.
Nel suo libro “Il calcio e l’isola che non c’è”, scritto nel 2014, l’allenatore nativo di San Michele al Tagliamento, in provincia di Venezia, spiegava la crisi tecnica che si stava aprendo nel calcio italiano e che avrebbe portato la Nazionale a rischiare di non qualificarsi per il Mondiale.
Uno scenario che all’epoca sembrava apocalittico, impossibile. Ma che otto anni e due mancate qualificazioni dopo, è diventato la triste realtà.
Si è parlato anche di questo lunedì scorso, quando agli impianti sportivi di via Pontevigodarzere, Glerean ha incontrato un centinaio di tecnici delle formazioni dilettantistici locali nell’evento organizzato dall’Associazione allenatori di Padova.
Si è parlato di come agire per tornare a coltivare i talenti, da dove cominciare, che strategie adottare. E per farlo si è partiti sempre da lì, dalla terra promessa di Glerean, l’Olanda.
«Tanti anni fa ho avuto la fortuna di seguire gli allenamenti delle giovanili dell’Ajax, ad Amsterdam», il racconto di Glerean. «Mi colpì un aspetto del loro modo di allenare i ragazzi. Durante la settimana i capitani a turno facevano le formazioni. Il giorno della partita il mister li accompagnava ma poi si sistemava in tribuna e li lasciava da soli in campo».
«Sembra una cosa impossibile, invece era un passaggio fondamentale per la loro crescita. Si metteva il gruppo nelle condizioni di autogestirsi, alimentando la curiosità in ognuno di loro. Ho provato a portare questa filosofia in Italia, ma troppo spesso un allenatore fatica a fare un passo indietro».
Glerean ha spiegato perché, a suo modo di vedere, sarebbe importante introdurre questa metodologia.
«Tutti noi siamo cresciuti giocando per strada, facendo le squadre con pari e dispari. E se erano squilibrate si cambiava. I bambini devono imparare presto ad essere “pensanti”. Spesso le scelte che facciamo noi allenatori sono scontate, i giocatori le capiscono già prima».
«Il calcio deve ritornare in mano ai bambini, gli allenatori devono essere bravi ad accompagnarli e poi ad andare in tribuna con i genitori. Queste ultime sì che sono figure che vanno educate ma soprattutto coinvolte e non emarginate».
Il tecnico non vuole cadere nell’antico vizio di scaricare le colpe su qualcuno se le cose non vanno bene. Spesso lo si fa sui genitori o sulle tante distrazioni che tentano i ragazzi di oggi.
«Si dice che non nascono più i campioni perché i giovani adesso hanno tante alternative tra le quali scegliere o sono distratti dalla tecnologia. Non è vero. Un volta si cominciava all’oratorio ma non è che tutti i ragazzi giocassero a calcio. Chi non era interessato faceva altro. Anzi, oggi un bambino ha molte più possibilità di cominciare a giocare a calcio».
«E non è vero nemmeno che in Italia non coltiviamo talenti perché arrivano troppi stranieri. Se crescessimo giocatori forti giocherebbero loro al posto degli stranieri».
«Sapete quando sono spariti i talenti in Italia? Quando sono nate le scuole calcio. L’ultima grande generazione, quella dei Maldini, Baggio e poi Del Piero e Totti, è nata partendo dall’oratorio. Le scuole calcio non danno più ai ragazzi la possibilità di scelta. Forniscono loro le soluzioni, senza dar modo di liberare tutta la fantasia di cui dispongono».
«C’è un dato molto interessante, dice che in Italia su 100 bambini che iniziano a giocare a calcio, 70 smettono prima di diventare adulti. A smettere sono sempre i migliori, perché non si appassionano, si stancano e a lungo andare non vogliono più praticare qualcosa che non li diverte. Sono i più bravi, noi chiediamo loro di vincere le partite ma appena sbagliano li mortifichiamo. Sta a noi allenatori cambiare rotta e farli appassionare in modo tale che non smettano. In Italia abbiamo delle risorse incredibili che stiamo disperdendo».
Glerean entra nel merito e indica un paio di nuove regole che a suo dire sarebbero controproducenti nel percorso dei piccoli giocatori.
«Da qualche anno a questa parte le categorie Pulcini ed Esordienti disputano campionati senza classifiche. Ma per quale motivo? A chi vogliamo nascondere i risultati? Tutti noi scendiamo in campo per competere con gli avversari, anche i bambini, non serve assolutamente a nulla giocare senza classifica. Un bambino se perde 10 a 0 come reagisce?»
«Esce dal campo, mangia un panino e poi torna a giocare a calcio per strada. Inoltre, ora il percorso per arrivare a giocare a 11 è più lento, gli esordienti giocano un anno in 9. Anche qui non capisco il motivo. Si perde soltanto del tempo prezioso in cui togliamo ai ragazzi la possibilità di immagazzinare situazioni di gioco».
«Stiamo percorrendo una strada sbagliata. Non ci resta che metterci tutti assieme, allenatori e dirigenti, e capire come fare per correggere questa rotta e valorizzare la grande passione calcistica che continua a imperare nel nostro paese».
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