Lasciateci lavorare.
Dico a voi, mille e rotti grandi elettori, rotti in special modo a tutte le avventure, poco avvezzi alla misura: lasciate a noi sciocchezzari l’agio del lazzo e della denigrazione. Permetteteci l’iperbole, il ribaltamento, l’eccesso. Mantenete quel barlume di decoro che ci permetta di urlare che il re è nudo senza che prima lo facciate voi, di indicarvi idealmente le pudenda a favore di camera. E di Camera.
Imitate Enrico Letta, che si finge morto dacché ha abbandonato la Ville Lumiére e al momento pare pure che basti. Non sciacquatevi le ascelle col disinfettante in pubblico, come Gasparri. Non sparate nomi a caso come Salvini, roba che neanche al Triello dell’Eredità, in una parabola degenerativa alla Amici Miei, in cui quello che doveva schiaffeggiare i passeggeri alla stazione, d’un tratto, sale sul treno, si affaccia, e riesce a tirarsi ceffoni da solo. Non berciatevi dietro tra alleati. Nei corridoi, come i La Russa coi Tajani. O al telefono, come le Casellati coi Berlusconi. O nei talk show, come i fuori dal coro coi fuori di testa. E diversi da nessuno.
Non sbirciate la calligrafia delle schede come nel Quesito della Susi, sperando di cogliere sul fatto i traditori. E soprattutto: non mandate sms, whatsapp, piccioni viaggiatori, criceti ammaestrati, mentre presiedete la seduta che potrebbe issarvi al Colle, con Fico a farvi da quinta, a sbuffare compunto, come quei personaggi della lunga serialità comica che nascono Pierini e muoiono Muccini. Non creati nuovi gruppi parlamentari pur di farvi votare, a un’ora dalla chiama, buttando dentro parole arcane: Costituzione, Ambiente, Lavoro. Il CAL. Roba che manco Ciampolillo. Bastava aggiungere Democrazia e Onestà per ottenere un acronimo ancora più torrido.Non prevenite i meme ancor prima di esserne vittime. Perseguite il barlume ultimo della consapevolezza, della misura. Finché si può, finché ce n’è.
Non passate da seconda carica dello Stato a quinta ricarica del cellulare, non esponetevi ai tweet col volto ghignante di Prodi, finalmente manlevato dai suoi 101 grazie ai 382 di MeC. Non innescate la condivisione a raffica del gesto dell’ombrello di Boldi e De Sica, della foto in pelliccia indossata senza figurare da volpe, mai, o degli screenshot di Whatsapp, falsi ma verosimili, in cui pietite voti sbagliando numero.
Non diteci che ci credete o ci avete creduto, alle promesse di Salvini e Berlusconi: ci piace immaginare di essere governati, gestiti, presieduti da gente che è più sveglia di noi.
Imparate, per quanto si può, la lezione: i social si ispirano, non si imitano. Altrimenti finite come l’uomo che sussurrava ai pieni poteri. Colui che Morisi convinse di essere addirittura un kingmaker. E adesso si ritrova a dover scegliere tra Draghi, Mattarella, Casini: un tecnocrate, un riluttante, un democristo che i meme se li produceva in proprio su Instagram, facendosi fotografare tra insaccati debordanti e maionesi vegane. Like zero, fatto senza precedenti, per Pierferdinando, una catastrofe.
Imparate, ove vi aggradi, da colui che è divenuto il Chuck Norris mite. L’uomo dalle mille imprese. L’assenza presente. Il cultore dell’immobilità proattiva le Bimbe del quale, su Instagram, immaginano fiction prossimo-venture in cui il giovane Mattarella è interpretato da Luca Argentero, MeC la recita Anna Mazzamauro, Iginio Massari replica Mario Draghi.
Il presidente di tutti, quello che super partes saprebbe persino tradurlo. Anzi: l’ha tradotto in pratica. L’unica figura istituzionale la cui storia personale avesse peso e densità prima e a prescindere dai byte che noi mestieranti del cancelletto gli avremmo dedicato.
Non è un caso che un’altra figura soltanto, in questi giorni tra Pippo Franco e realtà, sia uscita con le ossa integre: Giorgia Meloni. Con un candidato di area che ha esondato la medesima, anche perché vasto come la Provincia di Cuneo. E con una ritrovata parentela coi tempi in cui, finiana tra i finiani, non si faceva dettare la linea dal suo social media manager. Guadagnando consensi, rinculando sulla via di Fiuggi.
Chissà, magari continua.
Intanto, però, lasciateci lavorare.
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