Gli esperti le chiamano riacutizzazioni. Sono le fasi di aggravamento della Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva o BPCO, condizione che interessa moltissime persone, specie in età avanzata, e che riconosce nel fumo un chiaro fattore di rischio, come del resto accade per le patologie cardiache.
Ma il legame tra le patologie sembra andare oltre la condivisione del fumo di sigaretta come elemento di pericolo. La prevalenza di cardiopatia ischemica è, infatti, eccezionalmente elevata (stimata tra il 20% e il 60% dei pazienti con BPCO a seconda delle popolazioni studiate) e nettamente più frequente rispetto alla popolazione generale.
Molteplici evidenze scientifiche indicano, inoltre, che nella fase "stabile" di BPCO il rischio di infarto miocardico acuto è aumentato di circa 2-3 volte rispetto alla popolazione di controllo senza patologia polmonare, un dato tale da suggerire che la BPCO sia da considerare un fattore di rischio maggiore, alla stessa stregua del diabete o della dislipidemia. Peraltro, l'aspetto di maggior interesse clinico riguarda la frequenza con cui viene diagnosticata una stabilizzazione delle condizioni cardiache ed un danno miocardico infartuale nei pazienti ospedalizzati per esacerbazione acuta di BPCO.
Le evidenze scientifiche indicano che l'incidenza di infarto miocardico acuto aumenta in modo significativo nei 30 giorni dopo appunto un'esacerbazione e ricovero: in particolare la probabilità di un danno miocardico ischemico salirebbe di circa 2-5 volte nei primi 3 giorni post esacerbazione e scende progressivamente nel primo mese, mantenendo un modesto aumento del rischio fino ad un anno.
Come si spiega la situazione?
Secondo gli esperti presenti al Convegno di Firenze, organizzato dalla Fondazione Centro per la Lotta contro l'Infarto, non c'è ancora completa chiarezza sui meccanismi che legano BPCO e infarto. va detto comunque che da un lato, la BPCO in fase stabile favorisce preferenzialmente lo sviluppo e la progressione dell'aterosclerosi mentre le esacerbazioni con peggioramenti possono rendere meno stabile la placca aterosclerotica all'interno dell'arterie e quindi rendere più facile l'insogenza di un infarto. il "legame", in ogni modo, sembra rappresentato dall'infiammazione persistente delle vie aeree che sarebbe alla base del rischio cardio-vascolare e coronarico in particolare. Di fatto la BPCO è caratterizzata da un intenso processo infiammatorio, ricco di neutrofili, macrofagi e citochine pro-infiammatorie, che può estendersi al circolo sistemico. Al di là delle speculazioni teoriche, esistono evidenze di come la BPCO si associ ad uno stress ossidativo sistemico, ad un'attivazione di cellule infiammatorie circolanti e ad un aumento di citochine plasmatiche ad azione di sostengo all'infiammazione come PCR, IL-6 e TNF-a. Sono tutti elementi che indicano un'infiammazione generalizzata e non più confinata in ambito polmonare, elemento cruciale nella facilitazione-accelerazione del processo aterosclerotico. In secondo luogo, per quanto la relazione tra ostruzione delle vie aeree e rischio cardiovascolare non sia ben conosciuta, è probabile il coinvolgimento di un'alterazione della struttura arteriosa sistemica, caratterizzata da un lato da una perdita di fibre elastiche, e dall'altro lato da un effetto pro-aterosclerotico. In terzo luogo, la BPCO si associa con inaspettata frequenza alla sindrome metabolica, altra condizione strettamente connessa all'aterosclerosi e al rischio cardiovascolare. Poiché entrambe le condizioni (sia BPCO che sindrome metabolica) sono caratterizzate da uno stato infiammatorio cronico, è probabile che si crei un circolo vizioso bidirezionale in cui le due patologie tendono ad aggravarsi reciprocamente.
(FM)