5.400 diagnosi l’anno, il 14% di casi in più nel 2020 rispetto al 2015 e una sopravvivenza media a 5 anni inferiore al 20%, che triplica arrivando al 50% se la diagnosi è tempestiva. È il colangiocarcinoma, un tumore che si sviluppa nelle cellule delle vie biliari (i colangiociti, da cui il nome) e anche una delle forme di cancro tra le più complesse, rare e aggressive. Per questo è una neoplasia che più di altre richiede una presa in carico dei pazienti decisa, multidisciplinare ed ‘esperta’.

“La scarsità di sintomi nella fase iniziale della malattia e la mancanza di fattori di rischio certi spiegano perché nel 70% dei casi il colangiocarcinoma venga diagnosticato in fase avanzata e perché è così difficile curarlo”, dice a Oncoline Felice Giuliante, direttore di Chirurgia Generale ed epato-biliare a co-coordinatore del Percorso Colangiocarcinoma messo a punto dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma, appena presentato a Roma. “Dopo la diagnosi - prosegue Giuliante - solo per il 15-20% dei pazienti è possibile l’asportazione chirurgica, e in questi casi il trattamento può essere risolutivo. Ecco perché, anche in un centro ad alto volume come la nostra Chirurgia epato-biliare, delle circa duemila resezioni epatiche eseguite negli ultimi 10 anni, appena il 15% riguarda i colangiocarcinomi”.
L’importanza della presa in carico
Per tutti gli altri casi, la gestione multidisciplinare diviene fondamentale: un percorso che preveda il chirurgo epato-biliare, l’oncologo, il radioterapista, l’endoscopista, il gastroenterologo, il radiologo, il nutrizionista, lo psicologo. Meglio ancora se con un’unica porta di accesso, che garantisca una presa in carico appropriata e tempestiva, attraverso la valutazione multidisciplinare. Come accade nel percorso clinico-assistenziale multidisciplinare del Gemelli, a cui si accede sia attraverso lo ‘Sportello Gemelli-Cancro’ sia attraverso il pronto soccorso.
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Segnali e fattori di rischio
Il colangiocarcinoma colpisce le vie biliari e può essere sia interno al fegato (colangiocarcinoma intraepatico) e sia extraepatico. È un tumore subdolo: in un caso su 4 il colangiocarcinoma intraepatico viene diagnosticato ‘per caso’, cioè in occasione di esami prescritti per altre patologie, mentre per le forme extraepatiche spesso l’allarme è dato dalla comparsa di ittero.

Tra i fattori di rischio ci sono le malattie delle vie biliari (colangiti sclerosanti, calcoli intraepatici, dilatazione congenita delle vie biliari). Possono contribuire ad aumentare la probabilità che ci si ammali anche la sindrome metabolica, le malattie croniche del fegato, le cirrosi epatiche: un paziente su 2 con colangiocarcinoma è affetto anche da una di queste malattie. In ogni caso, è davvero difficile individuare una popolazione da sorvegliare.

Un aumento di casi ancora senza spiegazione
“Il Gemelli è uno dei centri di riferimento dove il colangiocarcinoma, sebbene sia una malattia rara, è come se non lo fosse per la quantità di casi che vengono trattati – ragiona Giuliante –. Vengono svolte riunioni settimanali dedicate a questo tumore da anni, e proprio nel corso di questi incontri abbiamo osservato che i casi di colangiocarcinoma sono aumentati”. Sulle ragioni di questi incrementi non abbiamo ancora risposte. “Però – conclude Giuliante – abbiamo speranze: grazie alla profilazione molecolare e alla costruzione di grandi registri di dati, e grazie alle terapie innovative a bersaglio molecolare, saremo sempre più in grado di ridurre le masse tumorali ed estendere la possibilità della chirurgia a un numero sempre più grande di pazienti”.
