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Influenza, la stagione parte con un picco. Covid fa aumentare i casi fuori stagione

Grazie al distanziamento sociale e all'uso delle mascherine, si sono ridotti i numeri di tutte le patologie virali. Ma con l'allentamento delle restrizioni i casi aumentano
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I virus viaggiano insieme a noi. Come abbiamo imparato a nostre spese durante la pandemia Covid, i viaggi internazionali hanno rappresentato la prima fonte di contagio. E adesso sta succedendo lo stesso con l'influenza stagionale. Grazie al distanziamento sociale e all'uso delle mascherine, si sono ridotti i numeri di tutte le patologie virali, a partire dall'influenza. Ma ora che le restrizioni stanno diminuendo in tutto il mondo, i dati italiani e internazionali parlano di un'incidenza "in rapida crescita". La curva di esordio dell'influenza è quattro volte superiore rispetto agli ultimi 15 anni - spiega Silvestro Scotti, segretario nazionale della Fimmg -. La linea di partenza pare altissima e si tratta di un'epidemia stagionale particolarmente diffusiva, come avevamo già previsto da settembre".

L'Australia

Un perfetto banco di prova per capire come si sta comportando l'influenza nell'epoca post vaccino Covid è l'Australia, che ha riaperto a inizio novembre i suoi confini internazionali dopo quasi 600 giorni di isolamento. Qui, ogni forma influenzale si era praticamente azzerata: in questi 11 mesi la nazione - che conta 25,69 milioni di abitanti - ha registrato appena 598 notifiche di influenza, un ricovero ospedaliero e nessun decesso collegato, i dati più bassi da quando esiste la sorveglianza. Ora però le cose stanno cambiando.

In Oceania è quasi estate ma nelle ultime settimane si sono registrati 27 positivi, di cui solo due forme corrispondenti al vaccino al momento disponibile. Secondo il Dipartimento di salute australiano, al momento il numero è "troppo basso per svolgere un'analisi significativa per stimare l'efficacia del vaccino" così come l'andamento non convenzionale. Ma secondo la dottoressa Sheena Sullivan, ricercatrice dell'Oms presso il Peter Doherty Institute for Infection and Immunity di Melbourne, "dopo 19 mesi di assenza di influenza comunitaria, man mano che i turisti stranieri torneranno nel continente oceanico, l'Australia deve aspettarsi un'epidemia influenzale fuori stagione".

Il turismo fa viaggiare il virus

Nell'editoriale pubblicato dal Medical Journal of Australia, l'esperta ha spiegato che "l'introduzione di nuovi virus è stata impedita dalla chiusura dei confini e dal fatto che tutti i viaggiatori di ritorno si sono sottoposti a 14 giorni di quarantena in hotel. Di conseguenza, non abbiamo trovato il virus dell'influenza in alcun campione comunitario inviato al nostro laboratorio da aprile 2020. Sembrerebbe che il virus sia stato eliminato localmente, ma la minaccia della sua reintroduzione incombe parallelamente alla riapertura ai viaggi". Questo soprattutto perché, avendo una stagionalità opposta rispetto alle nazioni di provenienza, come Europa, Asia e Stati Uniti, "la riapertura ha preceduto la nostra campagna di vaccinazione contro l'influenza stagionale, che di solito inizia ad aprile. E qualsiasi recrudescenza dell'influenza sarà più duramente sentita dagli anziani, tra i quali la mortalità è già di per se più alta e fra cui il Covid ha già lasciato un pesante tributo". E proprio come sta accadendo in Italia , anche in Australia "si stanno registrando picchi di virus respiratorio sinciziale nei neonati, con molti bambini sotto i sei mesi che necessitano di cure ospedaliere".

Epidemia di Covid e influenza

"Date le somiglianze nella presentazione, diagnosi e gestione della malattia, le risorse messe a disposizione durante la pandemia di Covid dovrebbero essere sfruttate per mitigare anche le conseguenze delle epidemie influenzali", conclude la dottoressa Sullivan. "Ciò includerebbe i test per l'influenza parallelamente ai tamponi per la sindrome respiratoria acuta grave. I modelli matematici che hanno guidato il processo decisionale del governo in merito alla riapertura dovrebbero continuare a tenere conto anche della pressione sui sistemi sanitari e ospedalieri, che potrebbero andare doppiamente in affanno e causa della co-circolazione di Sars-Cov-2 e virus influenzali", come indicano gli ultimi dati raccolti.

In Italia

In Italia, come nel resto d'Europa, l'influenza si presenta con epidemie annuali durante la stagione invernale. Casi sporadici possono verificarsi anche al di fuori delle normali stagioni influenzali: nei mesi estivi sinora l'incidenza è stata trascurabile ma già quest'anno si è registrata una brusca partenza della curva delle sindromi simil-influenzali autunnale, più alta rispetto al previsto. Nonostante sette regioni non abbiano ancora attivato la sorveglianza, l'ultimo bollettino diffuso da Epicentro parla di "un'incidenza in repentina crescita, pari a 4,2 casi per mille assistiti, dove i maggiormente colpiti sono i bambini al di sotto dei 5 anni di età, con una soglia di 17,9 ogni mille assistiti". Secondo i dati elaborati dal dottor Antonino Bella del dipartimento di Malattie Infettive dell'Istituto superiore di sanità, "Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Lazio, Abruzzo, Puglia e Sicilia hanno registrano un livello di incidenza delle sindromi simil-influenzali sopra la soglia basale", con un'incidenza raddoppiata in tre settimane. Il picco si attende per fine gennaio.

Negli studi dei medici di famiglia, conclude Scotti, "stiamo vedendo molte epidemie familiari: parte il bambino poi seguono tutti gli altri. E' una situazione preoccupante e il nostro invito è di vaccinarsi: lo scorso anno non abbiamo sviluppato anticorpi e questo rischia di aiutare Sars-Cov-2.. Se ci si infetta con il virus influenzale, che può lasciare per molto tempo sintomi come la tosse, e poi si contrae il Covid, starnuti e tosse rischiano di diffondere maggiormente il coronavirus".