In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni
LA RUBRICA

I medici di famiglia si raccontano: "Quei giorni in cui correvo da un paziente all'altro per capire se avevano il Covid"

I medici di famiglia si raccontano: "Quei giorni in cui correvo da un paziente all'altro per capire se avevano il Covid"
(fotogramma)
1 minuti di lettura
Fare il medico di base non è affatto una passeggiata, specialmente se ti trovi a dover fronteggiare una pandemia nel bel mezzo dell’occhio del ciclone. Il mio studio -anche se mi preme ricordare che sono un sostituto provvisorio- si trova a Selvino, in val Seriana, ma dal 13 marzo ho iniziato anche a sostituire un collega nel comune di Nembro.

Nembro, quel piccolo paese che senza Covid-19 non sarebbe mai finito sotto le luci dei riflettori. In questi mesi ho potuto toccare con mano tutta la drammaticità della situazione. Il virus, secondo le ultime indagini sierologiche, si è diffuso in oltre la metà della popolazione dei comuni in cui presto servizio.


Ho passato settimane drammatiche a correre da un malato all’altro cercando di impostare la miglior terapia. Fortunatamente tra i miei pazienti nessuno è deceduto per il virus. Ma se nella valle abbiamo avuto un’ecatombe molto è da imputare alla mancanza di assistenza domiciliare sul territorio. Molte delle persone che sono morte sono rimaste per settimane a casa senza assistenza. Gran parte di queste se ne sono andate senza vedere un medico.
 
Questo è accaduto perché sul territorio siamo in pochi e in gran parte dei sostituti. Comprendo anche le mancate visite da parte dei colleghi più anziani, affetti a loro volta da qualche piccolo problema di salute. Io ho 39 anni e sono in buona salute. Cosa mi sarebbe successo con 20 anni in più a visitare al domicilio decine di persone al giorno positive al virus?
Per non ritrovarci più nella stessa situazione occorre che le persone vengano visitate e seguite tempestivamente dai medici di assistenza primaria. Sono queste le strutture sul territorio che vanno rafforzate. Bisogna fare in modo che sempre meno persone arrivino ad aver bisogno di un ricovero in terapia intensiva perché non trattate adeguatamente al nascere dei sintomi. Occorre qualcuno che imposti la terapia ai primi sintomi, la modifichi se serve e li segua giorno dopo giorno. Ciononostante non è cambiato molto. Anzi, siamo passati da 1500 a 1800 assistiti come numero massimo per ogni medico di base.
 
Ora siamo di fronte ad una seconda ondata anche se per ora, nella mia zona, tutto sembra più tranquillo dopo l’inferno dei mesi scorsi. Di una cosa sono però preoccupato. Per come siamo ancora organizzati sento sempre più diffidenza verso il sistema di gestione dell’emergenza. In molti, pur avendo qualche sintomo, preferiscono evitare di rivolgersi al medico. Sento la paura di queste persone di perdere il lavoro e bloccare nuovamente le proprie attività. Questo perché “ingabbiati” nelle lunghe trafile dei tamponi e quarantene.
 
*Riccardo Munda, medico di medicina generale