L'INDAGINE sui giovani medici "Chi ci curerà nel 2020?" dice che c'è più domanda – camici bianchi in corsia – che offerta. Dice che le strozzature delle università italiane, all’altezza delle scuole di specializzazione, non portano agli ospedali il numero dei medici necessari oggi e per il futuro prossimo. Già, la professione del medico è un lavoro richiesto. Chi arriva in fondo alla laurea e alla specializzazione non resta disoccupato. I giovani medici occupati (qui si prende in esame la fascia d’età tra i 25 e i 40 anni) sono l’86 per cento, le donne arrivano all’83 per cento. Il 64,3 per cento dei maschi inizia a lavorare entro i 28 anni.
Al Nord sono il 92%. Al Nord i giovani medici con un lavoro stabile retribuito sono addirittura il 92 per cento, il 76,4 per cento al Sud (dove l’occupazione entro i 28 anni crolla, però, al 40 per cento). Prima di trovare un’occupazione certa un terzo ha già fatto almeno due lavori a tempo determinato: ambulatori privati, cliniche, guardie mediche. Tra i giovani medici non esiste fuga dei cervelli: quasi nessuno ha lavorato all’estero (il 4,7 per cento) e oltre il 37 per cento ha fatto esperienze mediche di volontariato (anche all’estero, temporanee). Si sono cimentati con il Terzo settore soprattutto, in questo caso, i clinici del Sud.
Un buon rapporto con i pazienti. I giovani medici, che hanno già introiettato esperienze ricche e articolate, si scoprono poco conflittuali con i loro pazienti: solo il 4,5 per cento ricorre alle assicurazioni per il risarcimento di un danno anche se l’87,5 per cento possiede una copertura (nel Nord si supera il 91 per cento). Soprattutto, il camice bianco di domani predilige il lavoro in ospedale: è il 77,1%. Il quadro dell’inchiesta dell’Osservatorio internazionale della salute (800 intervistati, il 10 per cento degli ottomila giovani medici sul territorio a cui vanno aggiunti seimila specializzandi), presentata oggi al ministero della Salute, è sorprendente.
Il blocco del turnover. Nel 2016 si avvista un giovane medico che cerca di superare il blocco turnover con iniziative proprie. Sette su dieci, per farlo, chiedono un sostegno finanziario agevolato. Spiega il professor Giuseppe Petrella, presidente del comitato scientifico di Ois: “I medici under 40 cercano forme innovative di economia sociale, a volte avviano startup di natura low-profit per realizzare progetti di medicina preventiva per conto di enti pubblici o privati, iniziative a sostegno dei pazienti con patologie croniche, attività di medicina divulgativa attraverso blog, siti web, giornali, webtv”. Le startup, che sono la vera novità di questa fase clinica e nascono soprattutto nel Centro Italia, potrebbero orientarsi all’assistenza primaria ambulatoriale, all’assistenza domiciliare integrata, alla creazione di comunità assistenziali. L’esperienza nel volontariato, da questo punto di vista, aiuta. Un coordinamento con le Onlus e le realtà del Terzo settore potrebbe creare nuove realtà mediche parallele al Servizio sanitario nazionale.
Al Nord sono il 92%. Al Nord i giovani medici con un lavoro stabile retribuito sono addirittura il 92 per cento, il 76,4 per cento al Sud (dove l’occupazione entro i 28 anni crolla, però, al 40 per cento). Prima di trovare un’occupazione certa un terzo ha già fatto almeno due lavori a tempo determinato: ambulatori privati, cliniche, guardie mediche. Tra i giovani medici non esiste fuga dei cervelli: quasi nessuno ha lavorato all’estero (il 4,7 per cento) e oltre il 37 per cento ha fatto esperienze mediche di volontariato (anche all’estero, temporanee). Si sono cimentati con il Terzo settore soprattutto, in questo caso, i clinici del Sud.
Un buon rapporto con i pazienti. I giovani medici, che hanno già introiettato esperienze ricche e articolate, si scoprono poco conflittuali con i loro pazienti: solo il 4,5 per cento ricorre alle assicurazioni per il risarcimento di un danno anche se l’87,5 per cento possiede una copertura (nel Nord si supera il 91 per cento). Soprattutto, il camice bianco di domani predilige il lavoro in ospedale: è il 77,1%. Il quadro dell’inchiesta dell’Osservatorio internazionale della salute (800 intervistati, il 10 per cento degli ottomila giovani medici sul territorio a cui vanno aggiunti seimila specializzandi), presentata oggi al ministero della Salute, è sorprendente.
Il blocco del turnover. Nel 2016 si avvista un giovane medico che cerca di superare il blocco turnover con iniziative proprie. Sette su dieci, per farlo, chiedono un sostegno finanziario agevolato. Spiega il professor Giuseppe Petrella, presidente del comitato scientifico di Ois: “I medici under 40 cercano forme innovative di economia sociale, a volte avviano startup di natura low-profit per realizzare progetti di medicina preventiva per conto di enti pubblici o privati, iniziative a sostegno dei pazienti con patologie croniche, attività di medicina divulgativa attraverso blog, siti web, giornali, webtv”. Le startup, che sono la vera novità di questa fase clinica e nascono soprattutto nel Centro Italia, potrebbero orientarsi all’assistenza primaria ambulatoriale, all’assistenza domiciliare integrata, alla creazione di comunità assistenziali. L’esperienza nel volontariato, da questo punto di vista, aiuta. Un coordinamento con le Onlus e le realtà del Terzo settore potrebbe creare nuove realtà mediche parallele al Servizio sanitario nazionale.