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Marani: «Serie C, si parte. Un calcio sostenibile che punta sui giovani»

Il presidente della Lega Pro presenta il nuovo campionato: in lizza cinque squadre venete. «Padova e Vicenza tra le favorite. Virtus Verona, Arzignano e Legnago sono belle realtà»

4 minuti di lettura
Matteo Marani, 53 anni, giornalista, presidente della Lega Pro 

Torna la serie C, il campionato dei giovani e dei campanili: 60 squadre suddivise in tre gironi, da Trento a Messina, con cinque venete nel girone A. «Saranno protagoniste», prevede Matteo Marani, il presidente della Lega Pro.

Il calcio italiano ha vissuto un curioso paradosso: la Nazionale fuori dai Mondiali per la seconda volta consecutiva, le società di club in finale nelle principali competizioni europee. Il tutto mentre avanza prepotente l’Opa dell’Arabia Saudita sul calcio mondiale.

«Siamo di fronte a un mutamento della cartina geopolitica del calcio mondiale, ci sono Paesi con minore tradizione rispetto a noi che stanno emergendo e altri che fanno fatica a riposizionarsi. Uso spesso un’espressione: noi siamo stati una grande villa nobiliare, ora dovremo trovare una casa adeguata alle nostre nuove dimensioni, per rilanciarci in un calcio moderno e al passo con i tempi».

Parliamo del campionato che inizia venerdì 1 settembre con gli anticipi. Fino all’ultimo nella compilazione dei calendari avete fatto i conti con un paio di incognite legate ai ricorsi di Lecco e Reggina in serie B. C’è un problema della giustizia (ordinaria e sportiva) che mal si concilia con le esigenze dello sport?

«Io penso che ci sia un tema molto generale che va al di là del calcio ed è il fatto che in questo Paese ci sono davvero tanti gradi di giudizio. E una tendenza a ricorrere su tutto. Sto leggendo di genitori che ricorrono al Tar sulle bocciature dei figli a scuola… Tutto è appellabile e poi d’estate ci sono troppi avvocati in giro pronti a difendere qualunque causa, oltre a presidenti di società che sperano di poter risolvere in tribunale i loro problemi. Io credo che non sia accettabile che a fine agosto in Italia non si sappia se una squadra è in una categoria o in un’altra. Vedo che all’estero all’indomani della fine di un torneo fanno già i calendari dell’anno seguente. Però, posso dirlo, mi sembra una patologia di tutto il Paese, non solo dello sport».

Abbiamo stadi fatiscenti o non adeguati. Il Lecco, ad esempio, ha fatto richiesta di giocare a Padova, dove pure c’è un Euganeo incompleto e in ristrutturazione da anni.

«Anche questo è specchio del Paese. Si fa una fatica tremenda a investire in infrastrutture nuove e moderne. A tutti i livelli. Non riusciamo a fare una tangenziale, una bretella… Non si costruisce, a volte per aspetti legati a vicenda poco commendevoli. Lo stadio di Bologna è stato inaugurato nel 1926, quello di Firenze nel 1931, quello del Grande Torino è lo stesso che si chiamava “Mussolini”. Persino l’impiantistica della serie A ha più di mezzo secolo. Invece ci sono Paesi che non hanno tradizione calcistica e che hanno impianti meravigliosi. Cito la Polonia, l’Ucraina prima della guerra. Per non parlare della Germania che si è rifatta il lifting nel 2006 o dell’Inghilterra che ha avuto il coraggio di rifare Wembley, il nuovo stadio del Tottenham, dell’Arsenal, lo stesso Stamford Bridge è cambiato. È un altro mondo».

La novità di questa stagione per la serie C sono le partite su Sky e su Now.

«Un passaggio epocale perché consentirà di fare vedere più partite, di dare maggiore visibilità al campionato, un vantaggio per i tifosi, un’opportunità per le società, anche in termini di investimenti pubblicitari, per fare conoscere i propri giocatori, visto che il nostro è un campionato di formazione».

Si può fare calcio bene in serie C, anche a livello finanziario?

«Il tema non è tanto quello dei ricavi ma del contenimento dei costi. Non solo per la serie C ma per tutto il sistema calcio. Spesso l’inseguimento dei ricavi ha prodotto più danni che benefici. Nel’96-’97, quando arrivò la pay-per-view, fu un enorme ingresso di denaro ma altrettanto ne uscì per giocatori e procuratori. Secondo me la serie C in questi anni ha fatto i conti con le sue difficoltà però ha avuto la capacità prima di altri di sapersi ridimensionare, tanto che l’indebitamento oggi è un ventesimo, un trentesimo di altri campionati. La serie C i conti in tasca se li è fatti, i compiti li ha svolti, non senza sofferenze. Però se quest’anno siamo arrivati a sole due squadre su 60 che non hanno avuto i requisiti per iscriversi significa che un certo lavoro è stato fatto».

Ci sono in serie C società esemplari da questo punto di vista, società con i conti in pari?

«Ci sono anche società in utile, magari non molte ma ci sono. Dipende da come le si gestisce. Spesso le società hanno puntato alla promozione, spingendosi al di là di un corretto equilibrio dei conti, con la prospettiva di avere poi maggiori ricavi in B e riprendersi quello che era uscito. Invece l’impostazione deve essere quella di strutturarsi in base alla categoria, il nostro è un campionato di formazione, quindi devi essere capace di prendere giovani calciatori bravi che costano meno, valorizzarli per poi rivenderli».

Avete inserito delle regole per garantire che i giovani giochino in prima squadra?

«C’è la regola del minutaggio, che noi abbiamo in parte corretto proprio per evitare che fosse legato a un numero minimo di minuti: oggi può bastare far disputare molte partite a un unico giovane di valore per ottenere i benefici del minutaggio, che sono finanziari. Contemporaneamente abbiamo previsto che i prodotti del settore giovanile che giocano in prima squadra fruttino il 200% dei benefici del minutaggio».

In quest’ottica va letto l’arrivo di una seconda squadra B, quella dell’Atalanta.

«Un altro segnale importante, anche perché arriva dopo cinque anni di stasi, successivi alla prima iniziativa della Juventus e perché viene da una società che è stata sempre lungimirante nella formazione dei giovani come quella di Bergamo, che ha deciso secondo me anche perché quest’anno ha colto alcuni segnali di cambiamento e apertura dentro la serie C. Bene anche che ci sia stata la disponibilità delle altre società di C di accoglierla».

Il campionato parte con cinque squadre venete al via, tutte e cinque nel girone A: Padova, Vicenza, Virtus Verona, Arzignano e Legnago. Da osservatore privilegiato, come le vede?

«Padova e Vicenza sono due delle squadre che partono con i favori dei pronostici. Il Padova è reduce da due promozioni sfuggite in extremis, ai play off. Il Vicenza di Renzo Rosso ha vinto la Coppa Italia, in una bella serata anche per noi perché è stato Gianfranco Zola a premiare la squadra vincitrice. Mi ricordo fra l’altro un gran gol di Ferrari. Metto a metà strada la Virtus Verona perché la società ha dimostrato nell’ultimo anno di saper lavorare molto bene. Gigi Fresco è un personaggio straordinario, non solo perché ha questo primato unico al mondo di essere da 40 anni l’allenatore nonché presidente nonché factotum della stessa squadra ma anche perché ha con sé altri dirigenti molto in gamba. Arzignano e Legnago sono più piccole, con altre ambizioni ma potranno sicuramente fare bene. L’Arzignano fra l’altro viene da un buon campionato di serie C, il Legnago neopromosso ma conosce bene la categoria. Di certo il Veneto, come la Lombardia, sarà la presenza più forte e protagonista nel girone A».

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