Casalesi di Eraclea, la difesa dell’ex sindaco Mestre: «Porta la croce del processo. Non c’è il patto elettorale con Donadio»
L’avvocato Fragasso: «Il boss? Solo un guitto di strada». Ultime arringhe, poi i giudici in camera di consiglio
Francesco Furlan
Luciano Donadio in aula bunker durante una delle udienze del processo ai “Casalesi di Eraclea”. A destra l’ex sindaco Mirco Mestre
Come sempre l’ex sindaco di Eraclea, Mirco Mestre, giovedì 25 maggio era in aula bunker per seguire il processo al clan dei Casalesi di Eraclea nel quale è imputato per voto di scambio mafioso. Ma questa volta, seduta al suo fianco, c’era anche la moglie. E proprio dalla figura della moglie è iniziata l’arringa dell’avvocato Emanuele Fragasso, il difensore dell’ex sindaco eletto nel 2016 e poi arrestato nel febbraio del 2019 perché quell’elezione, per la procura, era stata sostenuta dalla camorra.
Mestre, un cireneo
«Non sono io il regista, non è una sceneggiatura», ha detto Fragasso, «è stato lui a chiedermi se sua moglie potesse essere in aula. E qui si chiude un cerchio. Mestre ha voluto portare questa croce del processo, come una sorta di cireneo, per dimostrare la sua innocenza e salvare la sua famiglia. Ha seguito il processo con pazienza e umiltà, non ha mai assunto atteggiamenti di arroganza, non ha mai ostentato la sua innocenza».
Sui motivi per i quali Mestre, secondo la difesa, abbia portato, da innocente, la croce, l’avvocato Fragasso ha discusso per più di tre ore, cercando di convincere la corte presieduta dai giudici Stefano Manduzio (presidente) Claudia Ardita e Marco Bertolo. Qualche momento di tensione c’è stato, in aula, quando al continuo rumoreggiare di Paolo Valeri (imputato per cui la procura ha chiesto 11 anni e mezzo) il pm Roberto Terzo ha detto che, se Valeri avesse continuato ad offendere, lo avrebbe fatto arrestare in flagranza.
La Stasi e la vita degli altri
La difesa è partita da alcune considerazioni generali relative a un processo che ha «superato gli argini della ragionevolezza» per la mole di informazioni relative a un’indagine imperniata su dichiarazioni ascoltate in intercettazioni che «sono l’inizio e la fine di queste indagini. Ma fuori delle indagini auricolari non c’è nulla, perché nessuno è andato a cercare riscontro o confutazioni», ha detto Fragasso, sottolineando che «le intercettazioni non esauriscono la vita delle persone» facendo riferimento al film la Vita degli altri che racconta la storia di una spia della Stasi nella Ddr.
«Donadio? Un guitto»
Fragasso, prendendo il testimone delle arringhe difensive dei colleghi, ha cercato di smontare l’accusa dell’associazione mafiosa con a capo Luciano Donadio - anch’egli presente in aula - il presunto boss di cui Mestre è stato a lungo avvocato (per altri reati e prima dello scoppio dell’indagine).
Fragasso ha descritto quello che per la procura è il boss come un guitto di strada, uno che sì, certo, ha commesso dei reati; uno che sì, certo, cercava di risolvere i problemi a modo suo; ma che certo non era a capo di un’associazione camorristica. Alle elezioni comunali del 2016 quando Valeri fa sapere a Donadio che non voterà Mestre - ha ricordato l’avvocato - quest’ultimo non lo richiama all’ordine, non gli fa una lavata di capo: che boss è uno che lascia libertà di voto?
Il voto di scambio
Anche sul punto specifico del voto di scambio Fragasso ha respinto tutte le contestazioni. Citando l’ormai famosa intercettazione ambientale del 27 maggio 2016 in cui Emanuele Zamuner dice a Luciano Donadio: Mestre mi ha detto di votare per Ongaro e Varagnolo. Su quel mi si è concentrato Fragasso, evidenziando come Zamuner non avesse nessun compito «di fare da ponte radio con Donadio».
Anche perché, se Mestre era davvero una sorta di consigliore di Donadio come ha cercato di far credere la procura - nell’interpretazione di Fragasso - perché si sarebbe dovuto rivolgere a Zamuner quando avrebbe potuto parlare direttamente con il boss? Altro elemento, centrale per la difesa, è il fatto che dopo l’elezione di Mestre Donadio non ebbe nessun percorso agevolato per il progetto della centrale a biogas - mai costruita - ma anzi «fu rimandato da Mestre agli uffici tecnici. Non c’è nessun atteggiamento di messa a disposizione di Mestre nei confronti di Donadio. E tutti i tecnici comunali hanno detto di non aver subito pressioni».
L’avvocato ha quindi chiesto l’assoluzione di Mestre perché il fatto non sussiste e, in subordine, perché il fatto non costituisce reato per mancanza dell’elemento psicologico del dolo. Venerdì, con le repliche della procura e le controrepliche della difesa si chiuderà un processo durato quasi tre anni, con circa 140 udienze. I giudici si riuniranno in Camera di consiglio per arrivare alla sentenza nell’arco di alcuni giorni, circa una settimana.
Il caso graziano Teso
Resta aperto il caso dell’ex sindaco Graziano Teso, rinchiuso in carcere a Santa Maria maggiore dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa (nel processo con rito abbreviato). Giovedì c’è stata la visita del medico, venerdì dovrebbe esserci quella del suo avvocato, Daniele Grasso.
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