Giacomo e Alberto, i due papà con due figlie. «La nostra famiglia esiste, perché negarlo?»
I genitori: «Le registrazione di un atto di nascita dovrebbe essere un atto semplice ma in Italia si trasforma in un calvario. Questi provvedimenti negano lo stato delle cose e a pagare sono i minori a cui vengono tolte tutele importanti»
Vera Mantengoli
Una manifestazione per il riconoscimento delle famiglie arcobaleno
Giacomo e Alberto sono i papà di Valeria e Maria (nomi di fantasia), due bambine di 6 anni nate facendo ricorso alla gestazione per altri in California. I due, entrambi di 46 anni, ora vivono a Venezia e lavorano nel settore alberghiero. Giacomo viene da Este, nel Padovano, e Alberto da Mirano.
In questi giorni di dibattito sul provvedimento del governo Meloni che vieta ai sindaci di trascrivere all’anagrafe le famiglie arcobaleno, abbiamo chiesto ai due genitori come avviene concretamente la gestazione per altri e cosa ne pensano del provvedimento volto a colpire proprio chi fa ricorso alla pratica vietata in Italia, ma considerata legale in molti Paesi, come l’America.
Giacomo e Alberto, quando avete deciso di avere dei figli?
«Ci conosciamo da 23 anni e ci siamo sposati nel 2011 a New York. Lavoriamo entrambi nel settore alberghiero e abbiamo vissuto per qualche anno in America. Nel 2015 abbiamo sentito il desiderio di avere un figlio e ci siamo informati su una pratica legale in America e riconosciuta».
Come funziona la gestazione per altri?
«Abbiamo valutato diverse agenzie che si occupano di seguire l’intero percorso e alla fine ne abbiamo scelta una in California. Il primo passo è conoscere la persone che porterà avanti la gravidanza e che ha scelto noi tra diverse richieste. Quindi è la donna che sceglie il profilo della famiglia che decide di aiutare. I requisiti che questa persona deve avere sono che abbia un lavoro e quindi che non abbia problemi economici, che abbia già altri figli e che sia sposata».
Qual è il costo della gestazione per altri?
«Più o meno sui 100 mila euro, ma molti pensano che questi soldi siano dati alla donna che porta avanti la gravidanza. In realtà una parte va all’agenzia, una agli psicologici che seguono prima, durante e dopo la donna, una all’assicurazione sanitaria e il restante è un indennizzo mensile che viene dato per eventuali spese o necessità collegate alla gravidanza. Per capirsi, non ci può comprare una macchina o una casa. Il costo dipende dal luogo. All’epoca in Canada costava molto meno perché lo Stato sostiene più costi sanitari».
Dove eravate durante la gravidanza?
«Tra l’America e l’Italia. Siamo andati a Los Angeles quando hanno impiantato l’embrione, alle prime ecografie e un mese prima che partorisse. Nel frattempo ci sentivamo ogni giorno e più volte al giorno».
Che rapporto avete con questa persona?
«Bellissimo, Lucy (nome di fantasia) la consideriamo una di famiglia. Ora continuiamo a sentirci regolarmente sebbene non con la stessa intensità. Abbiamo costruito un rapporto di amicizia».
Sapevate che avreste avuto due gemelle?
«Può succedere perché vengono impiantati due diversi embrioni. Noi siamo stati fortunati e siamo contenti che siano due. Come figlie di una coppia omogenitoriale potranno dover affrontare persone e situazioni difficili, ma in due potranno sostenersi».
Cosa avete raccontato alle bambine?
«Tutto. Abbiamo raccontato che zia Sally (nome di fantasia, ndr) ha donato un ovetto e che zia Lucy lo ha tenuto nella pancia. Abbiamo detto loro anche chi era tra noi il padre biologico che ha dato il seme. Rispondono con grande serenità anche alle domande dei compagni».
Come siete stati registrati in America?
«In California abbiamo registrato il padre biologico e le due bambine. Successivamente l’altro padre è andato a registrarsi. Il giudice attesta che entrambi sono i genitori e procede nella registrazione. In America siamo riconosciuti come una famiglia al 100%».
E in Italia?
«A Venezia abbiamo iscritto all’anagrafe il padre biologico e le bambine. Poi abbiamo chiesto di registrare l’altro papà e ci è stato detto di no. Ci siamo rivolti all’avvocata di Treviso Valentina Pizzol che ci ha seguito per l’adozione in casi particolari e stiamo aspettando la sentenza del giudice».
Come funziona?
«Funziona come se si trattasse della formazione di una nuova famiglia e quindi ci sono le assistenti sociali che valutano la situazione familiare, parlano con le bambine e poi consegnano un report al giudice. Il punto è che noi non siamo una nuova famiglia, ma non esiste un protocollo per questi casi e anche le persone, di conseguenza, non sono formate».
Cosa ne pensa del provvedimento del governo Meloni?
«La registrazione di un atto di nascita dovrebbe essere un atto d’ufficio, mentre invece ora per motivi ideologici viene trasformato in un calvario legale e psicologico. Inoltre si sta facendo una narrazione distorta della gestazione per altri perché nel nostro caso Lucy era felice di contribuire alla creazione di una nuova famiglia. Le nostre famiglie esistono e un provvedimento di questo tipo nega la realtà e a pagarne sono solo i minori ai quali vengono tolte delle tutele».
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