Il diktat della Lega ai deputati del Veneto: «Chi non versa 14 mila euro è out»
Dal gelo ostile tra parlamentari e consiglieri della Regione ai colpi bassi che hanno scandito lo scandalo del bonus Covid. Al culmine del consenso in Veneto, il partito è scosso da lotte correntizie, ambizioni contrapposte, crisi di leadership
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VENEZIA. Non è stata una sorpresa gradita quella riservata ai deputati veneti della Lega convocati in fretta e furia nell’auletta del gruppo, a Montecitorio. Se l’invito accennava vagamente a questioni amministrative, inclusa la controversa caccia al lupo, ai presenti (una quindicina a fronte di 23) è bastato qualche minuto per comprendere la reale natura della battuta venatoria.
Al tavolo, a fianco del commissario lighista Lorenzo Fontana, l’amministratore del partito Massimo Bitonci, lesto a sollecitare a ciascuno il versamento straordinario di 14 mila euro a sostegno della campagna elettorale. Ma a far sobbalzare i parlamentari non è stata l’entità della cifra (ne sborsano ogni mese 3 mila oltre a finanziare le sezioni d’appartenenza) quando l’avvertimento successivo: a chi si sottrae al diktat sarà negata l’anzianità di tessera nel passaggio da Lega Nord a Lega Salvini premier con la perdita, conseguente, del diritto di voto ai congressi e della possibilità di candidarsi a cariche pubbliche. Una morte politica, insomma. Gelo in sala, mormorii («Siamo alle minacce... »), poi il rompete le righe. Era il cinque agosto, avvisaglia di una bufera imminente.
Da bitonci a marcato
Perché alla notizia del bonus Covid di 600 euro percepito da alcuni parlamentari, in Regione è insorto da par suo Roberto “bulldog” Marcato: «Mi piacerebbe tanto guardare in faccia i tre parlamentari leghisti che hanno chiesto i soldi», la zampata, Un boomerang nella realtà perché in Veneto il caso non ha travolto gli eletti nella Capitale ma, esclusivamente, tre esponenti della maggioranza Zaia, dai consiglieri Riccardo Barbisan e Alessandro Montagnoli al vicepresidente Gianluca Forcolin (l’unico, in verità, a rassegnare le dimissioni rinunciando ad un paio di mensilità). La circostanza, peraltro, non ha evitato ulteriori colpi bassi, fino ai rumors infamanti, sussurrati alla stampa da ambienti leghisti e rivelatisi del tutto infondati, riguardanti presunti versamenti del fatidico bonus ai rivali, in un crescendo di veleni e sospetti sull’asse Venezia-Roma.
Le tensioni sul territorio
Parte da qui, da episodi in apparenza slegati eppure spie di un disagio diffuso, il nostro viaggio nelle tensioni del partito-pigliatutto in terra veneta. Reduce da successi scoppiettanti alle politiche e alle europee, proiettato verso un plebiscito nel segno di Luca Zaia, eppure scosso da un malessere profondo, a stento silenziato dalla rigida disciplina statutaria.
A spiccare, anzitutto, è la distanza ostile tra consiglieri regionali e parlamentari, mai collaborativi e instancabili nello scambio di frecciate, figlia a sua volta da un’assenza di regìa palpabile. Che ne è del blocco “leninista” delle origini, forte di una piramide radicata sul territorio, lontano dai “partiti di plastica” e dai circoli elitari, capace di veicolare pulsioni e traguardi collettivi in un circuito esteso dal campanile al ministero?
L’eredità smarrita di Covre
«Siamo cresciuti privilegiando la militanza e affidando ai segretari di sezione poteri e responsabilità nell’ambito locale», sbotta un veterano (anonimo, per carità... ) della provincia di Padova; «Un canale diretto tra base e vertice garantiva ai nostri amministratori ascolto e risposte, c’era un vivace confronto interno e il percorso di crescita premiava l’impegno e dedizione alla causa. Adesso i circoli vengono dimenticati, la linea è calata dall’alto, a prevalere sono carrierismo e correnti. Raccogliamo tanti voti ma rischiamo di perdere la diversità che ci ha permesso di parlare al cuore dei veneti e di assumerne la rappresentanza identitaria».
Nostalgia? Folclore? In verità il trapasso dal modello nordista di matrice bossiana al soggetto tricolore di Matteo Salvini assume più le sembianze di una “fusione fredda” che i connotati di un processo condiviso di cambiamento e, accanto alle lacerazioni ideali e di progetto, sconta evidenti contraccolpi nella ridefinizione della forma-partito. Ne era ben consapevole la buonanima di Bepi Covre, l’eretico del leghismo instancabile nel richiamare il movimento ai valori delle origini, alla Liga popolare, federalista, antifascista e legalitaria, irriducibile alle camarille romane quanto alla volontà di potenza lumbard.
Fusione fredda e ultimatum
Un passo indietro, perché la discontinuità coincide con l’epilogo dell’ultima stagione congressuale, quella culminata nell’elezione a segretario di Gianantonio “baffo” Da Re. Figura controversa, apprezzata da più parti e bersaglio di pesanti critiche, il veterano di Vittorio Veneto ha rappresentato l’ultimo erede di una prassi democratica che affidava al voto dei militanti la scelta dei dirigenti.
Da un paio d’anni a questa parte, è invece il commissariamento la prassi abituale nella gestione di sezioni, circoscrizioni, comitato regionale. Fino al “direttorio”, un organismo che richiama alla memoria l’età napoleonica; l’ha inaugurato Fontana - successore di Da Re per volontà salviniana - e raccoglie gli esponenti di spicco del Carroccio nostrano (Zaia, Marcato, Erika Stefani, Nicola Finco, Bitonci); lungi dall’assicurare un coordinamento capillare, funge sopratutto da contraltare veneto all’influenza del cerchio magico di Via Bellerio, salvo piegarsi ai diktat- è il caso dell’esclusione degli assessori dalla lista presidenziale o alla circolare che ordina alle sezioni a sostenere «esclusivamente» i candidati della Lega - qualora le divergenze rischino di sfociare in scontro aperto.
una poltrona a rischio
Salvini e Zaia, sì, protagonisti di un derby senza precedenti che, nell’assenza sconsolante di avversari, calamita l’attenzione dei media e il flusso degli elettori. Nel mezzo, sorta di vaso di coccio tra vasi di ferro, il subcomandante veronese Fontana. Ieri a un “battito del cuore” da Matteo, oggi vacillante nell’incarico. Ma questa, è un’altra storia. —
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