In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Pfas, il rapporto choc dei Noe: «Capo Mitsubishi da arrestare»

Per il manager Maki Osoda furono chiesti alla Procura i domiciliari (mai disposti). «La multinazionale sapeva e non disse, la bonifica sarebbe stata un salasso»

2 minuti di lettura
(ansa)

TRISSINO. Per Maki Hosoda, attuale presidente di Mitsubishi Italia spa, lo scorso luglio i carabinieri del Noe avevano chiesto persino gli arresti domiciliari. Troppo alto il pericolo di fuga, vista la risonanza mediatica dell’indagine, per questa figura di vertice del colosso giapponese. Hosoda, prima di diventare numero uno di Mitsubishi Italia, era stato manager di Mitsubishi Corporation, realtà che controllò Miteni dal 2002 al 2009. È questo uno dei passaggi clamorosi che emerge dalle 270 pagine e dai 360 allegati redatti dal Nucleo operativo ecologico (Noe) di Treviso del Comando dei carabinieri per la tutela ambientale, chiamato a indagare in merito all’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) nelle province di Vicenza, Padova e Verona. Una contaminazione, questa, che ha interessato ben 150 mila persone e che – il calcolo è dell’Ispra – ha causato un danno su scala regionale di 137 milioni di euro.

Anche grazie a questo prezioso documento la Procura di Vicenza, a metà gennaio, ha contestato i reati di avvelenamento delle acque e “disastro innominato” a 13 manager (tra cui Hosoda, che però non è stato arrestato come richiesto dal Noe) che si sono succeduti alla guida della società Miteni, a Trissino, ritenuti responsabili della contaminazione da Pfas. Quanto annunciato dalla Procura in sede di contestazione dei reati era già decisamente forte, ma è sfogliando il dossier del Noe – diffuso in questi giorni – che emergono distintamente le inaudite responsabilità (aggettivo messo nero su bianco dal Noe) di manager e pure di amministrazioni pubbliche.

Operazione costosa

Servivano 18 milioni per bonificare il sito Miteni di Trissino. Per questo - si legge nel rapporto Noe - la società ha taciuto e per questo la società fu svenduta, addirittura a 1 euro. Nel 2008, giusto per citare uno dei fatti più recenti, Mitsubishi Corporation incaricò per l’ennesima volta Erm Italia, azienda milanese leader nelle analisi ambientali, di compiere un monitoraggio ambientale del sito di Trissino. Quello studio confermò l’inquinamento della falda sotterranea. Secondo Erm, smantellamento, bonifica e ripristino avrebbero richiesto dai 12 ai 18 milioni di euro. Una somma addirittura maggiore del valore della società, che si aggirava tra i 12,8 e i 16 milioni. Proprio per evitare questi costi (ma anche ipotetiche azioni legali e risarcitorie e un danno d’immagine per il brand), i vertici di Miteni non comunicarono il caso di inquinamento alle autorità preposte. Farlo avrebbe significato vedersi imporre l’opera di bonifica. Addirittura nel febbraio 2009 la Mitsubishi Corporation vendette a 1 solo euro il 100% delle quote di Miteni spa alla società Icig, che effettuò la transazione consapevole della presenza del grave inquinamento del sito.

Barriere "coperta"

Il Noe attribuisce forti responsabilità anche ad enti pubblici come Arpav. È il 2005 e Miteni, conscia dell'inquinamento in atto, incarica Erm Italia di realizzare una barriera idraulica (costo di 199 mila euro, decisamente inferiore ai 18 milioni previsti per la maxi-bonifica) per contrastare l’avanzare dell’inquinamento verso la falda. L’installazione dell’impianto prevedeva di per sé la comunicazione agli enti di controllo, ovviamente mai avvenuta. Nel 2013, grazie allo studio Irsev che rileva i contaminanti in falda, scoppia il “caso Pfas” e Miteni fa di tutto per nascondere l’esistenza di quella barriere fin dal 2005. Confermarne la realizzazione, significherebbe ammettere di aver nascosto almeno per 8 anni l’inizio di un disastro ambientale.

L’Arpav e la Provincia

A darle man forte, secondo il Noe, l’Arpav di Vicenza: secondo il Noe «nella relazione del 30/09/2013 Arpav ha confermato la teoria, assolutamente falsa, della Miteni secondo cui la barriera sarebbe stata realizzata solo nel luglio 2013». E ancora: «Arpav Vicenza durante le numerose ispezioni e verifiche dal luglio 2013 avrebbe dovuto immediatamente segnalare che la barriera idraulica non era stata allestita in quel momento». Usura del tempo, testimonianze del persone e idonea documentazione – elementi facili da acquisire per tecnici preparati - bastavano a far cascare la tesi della costruzione recente dell’impianto. A detta del Noe, c’era «la volontà dei tecnici Arpav di non voler far emergere tale situazione». E ancora: «Ragionevolmente si può ipotizzare che Arpav, vista la gravità dell’emergenza ambientale emersa nel 2013, consapevole di non aver proceduto nel 2005 alla denuncia dei fatti, al fine di evitare contestazioni, avesse preferito mantenere la tesi che la barriera fosse stata realizzata nel 2013». E il report, in 270 pagine, racconta purtroppo molto altro.—
 

I commenti dei lettori