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Sangue ripulito dai Pfas, ora è scontro tra i medici

Il Comitato di Bioetica: «Plasmaferesi prevista dalle linee guida internazionali». Il Centro nazionale del sangue: non esente da rischi. Brusco (M5s): «Fare presto»

di Sabrina Tomè
2 minuti di lettura
(ansa)
PADOVA. Lo scontro adesso non è più soltanto politico, ma anche tecnico. Nel senso che la contrapposizione sulla plasmaferesi tra il governo veneto e quello romano, si è esteso agli esperti, divisi in due scuole di pensiero. Da una parte c’è il Comitato regionale per la bioetica che nel dare il via libera ai trattamenti anti-Pfas ha detto chiaramente che essi sono previsti dalle linee guida internazionali sull’uso dell’aferesi nella pratica clinica per la rimozione di sostanze tossiche. Dall’altra un comunicato congiunto diffuso ieri da Centro Nazionale Sangue – Istituto Superiore di Sanità, Società Italiana di Medicina Trasfusionale, associazioni di donatori, rileva invece che si tratta di trattamenti non esenti da rischi. In mezzo, i veneti che chiedono risposte urgenti, come rileva il presidente della Commissione regionale Pfas Manuel Brusco.

Il Comitato di Bioetica. Dopo l’arrivo a Venezia dei Nas mandati dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin per acquisire la documentazione sui trattamenti di plasmaferesi a cui si sono sottoposti 111 volontari della zona rossa, la polemica è divampata. Con le opposizioni che hanno accusato la giunta Zaia di aver agito senza l’autorizzazione dell’Istituto Superiore di Sanità e del Comitato Etico. Immediata la risposta: non solo il ministero è stato informato con la lettera del 4 luglio scorso, ma è del 5 ottobre anche l’espresso via libera del Comitato regionale per la bioetica. Il suo presidente, il professor Massimo Rugge, è molto chiaro nel documento: «Le procedure di plasmaferesi e scambio plasmatico finalizzate a ridurre la concentrazione di Pfas, sono incluse tra quelle previste dalle linee guida internazionali sull’uso dell’aferesi nella pratica clinica per rimozione di sostanze tossiche». Quindi: «Si tratta di strategie terapeutiche già formalizzate in specifici protocolli» sui quali il Comitato di bioetica precisa di non avere competenza.

Il Centro Nazionale Sangue. Diverse le conclusioni, affidate ieri a un comunicato, del Centro Nazionale Sangue, l’organismo del ministero della Sanità che opera presso l’Istituto Superiore di Sanità. Nel documento si fa prima di tutto un distinguo tra plasmaferesi produttiva (legata alla donazione di sangue) e plasmaferesi terapeutica (usata in Veneto per la rimozione dal sangue dei Pfas). Si mette quindi in evidenza che se la prima è sicura e priva di effetti collaterali, la seconda non presenta «solide evidenze scientifiche» e non è esente da potenziali effetti collaterali. «Plasmaferesi terapeutica e donazione di plasma mediante aferesi hanno finalità e modalità tecniche di esecuzione totalmente diverse», sostiene Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Cns, «e quindi non sono raffrontabili». Le più recenti linee guida sull’impiego dell’aferesi terapeutica, si legge nel documento, riportano un totale di 179 potenziali indicazioni cliniche delle procedure di aferesi terapeutica con differenti gradi di evidenza scientifica e forza di raccomandazione e non includono la rimozione dei contaminanti tra le indicazioni all’uso della plasmaferesi terapeutica basate su consolidate evidenze scientifiche. «In particolare», spiega il presidente Simti Pierluigi Berti, «all’utilizzo di protocolli su procedure di scambio plasmatico terapeutico, in caso di avvelenamento da sostanze chimiche o da farmaci, è attribuito un livello di evidenza molto basso. La procedura di scambio plasmatico terapeutico è una procedura non esente da potenziali effetti collaterali».

La Commissione Pfas. Due visioni contrapposte, dunque. E intanto i veneti contaminati aspettano una risposta, come rileva Manuel Brusco, presidente della Commissione regionale Pfas che concluderà le audizioni il 29 dicembre. «Il ministro Lorenzin e il direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan sono persone esperte e sanno sicuramente cosa fare. Mi auguro solo che una decisione venga presa nel giro di brevissimo tempo», afferma Brusco. Il consigliere 5Stelle contesta alla Regione di essere ancora alle prese col problema dopo 4 anni e al ministero di essere intervenuto in ritardo, a distanza di mesi dal momento in cui è venuto a conoscenza della situazione. «Ho l’impressione che qui si stia facendo confusione con uno scaricabarile che si ripercuote sui cittadini», la conclusione.

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