Mose, i pm chiedono processo anche a carico di otto aziende
VENEZIA. Non avrebbero esercitato il controllo sui loro (ex) dirigenti e per questo, secondo l’accusa, devono essere economicamente responsabili delle mazzette corrisposte dai loro stessi manager: i...
VENEZIA. Non avrebbero esercitato il controllo sui loro (ex) dirigenti e per questo, secondo l’accusa, devono essere economicamente responsabili delle mazzette corrisposte dai loro stessi manager: i pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini hanno chiesto il processo per le otto principali aziende coinvolte nell’inchiesta Mose. Il tutto in virtù del decreto legislativo 231 del 2001 che ha esteso la responsabilità penale alle persone giuridiche (le società) in relazione ai reati commessi dai rispettivi amministratori, consentendo la possibilità di infliggere pesanti sanzioni economiche. È la prima volta in Italia che in un’indagine per corruzione viene contestata l’applicazione del decreto.
La giudice Barbara Lancieri ha fissato l’udienza preliminare per il 27 giugno. I pm hanno chiesto il rinvio a giudizio per la Mantovani (che all’epoca del Mose era presieduta da Piergiorgio Baita), Adria Infrastrutture (l’impresa legata a Claudia Minutillo, prima segretaria di Giancarlo Galan, poi imprenditrice), Consorzio Venezia Nuova (allora nelle mani del signore e padrone delle tangenti Giovanni Mazzacurati), Nuova Codemar (del chioggiotto Gianfranco Boscolo Contadin), Cooperativa San Martino di Stefano e Mario Boscolo Bacheto, Società Condotte d’Acque (negli anni dell’inchiesta giudiziaria sui fondi neri guidata da Stefano Tomarelli), Grandi Lavori Fincosit di Alessandro Mazzi e, infine, Technostudio dell’architetto Danilo Turato, che per conto di Galan restaurò Villa Rodella. In particolare viene contestata la responsabilità amministrativa delle società in relazione alla corruzione dei Magistrati alle acque Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva, del generale della Finanza Emilio Spaziante, dell’allora presidente della Regione Giancarlo Galan e dell’assessore alla Mobilità Renato Chisso. Nel corso delle indagini, la Procura aveva ottenuto dal giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza il sequestro conservativo di beni per 8 milioni di euro, ma il tribunale del Riesame, su ricorso del Cvn e di Tecnostudio, aveva poi annullato il provvedimento. Il nuovo sequestro era a cifre più contenute. (ru.b.)
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