Le prediche nelle moschee senza l’obbligo dell’italiano
La Consulta approva la legge regionale con forti vincoli ai nuovi luoghi di culto ma boccia il comma che impone l’uso della nostra lingua per i riti religiosi
di Albino Salmaso
PADOVA. Cancellato l’obbligo delle prediche in lingua italiana nelle moschee venete: la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il comma 3 dell’articolo 31 della legge regionale 2016 votata da Lega e Forza Italia perché contrario alla libertà di culto. E ha invece approvato il provvedimento che fissa una serie di vincoli urbanistici non solo alle moschee ma anche alle chiese cattoliche e ai patronati, tanto che il patriarca di Venezia Francesco Moraglia ne aveva chiesto la modifica. Per i nuovi luoghi di culto ci vogliono dei parcheggi stile centri commerciali, mentre per l’idioma delle preghiere la Lega si era limitata a imporre l’uso dell’italiano nella lettura del Corano, sacrificando il dialetto con buona pace dei giuristi in camicia verde.
«Storica vittoria»
Dopo una giornata passata a inaugurare reparti ospedalieri, Luca Zaia dà la sua versione e capovolge la “bocciatura” in una altrettanto clamorosa vittoria: «La Consulta con una sentenza storica ha riconosciuto la piena legittimità della nostra legge del 2016 per la gestione del territorio. Hanno bocciato solo tre righe riferite alla lingua, ma anche il ministro Minniti ha firmato l’accordo con l’Islam moderato per l’uso dell’italiano in moschea: quell’atto è quindi incostituzionale?» si chiede con buon esercizio della retorica il governatore del Veneto. Zaia pone un quesito legittimo, ignorato ieri dalla Consulta: peccato non ne abbia discusso con il ministro degli Interni a Treviso due settimane fa, visto che sia la Regione che i sindaci della Lega hanno disertato il vertice con Minniti. Occasione sprecata. Ma si può sempre riprovare a Roma.
A sollevare il ricorso sulla legge “anti-moschee” era stato il governo, come ricorda il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa, che annuncia di aver messo il semaforo rosso pure alla legge del 21 febbraio scorso che premia i bambini residenti in Veneto da almeno 15 anni nelle graduatorie di accesso agli asili nido. «Lo slogan “prima i veneti” Zaia lo può dire al congresso della Lega, ma non potrà mai diventare una legge dello Stato perché vìola i principi di eguaglianza dei cittadini stabiliti all’articolo 3 della Costituzione: si tratta di provvedimenti ideologici, approvati per dimostrare che lui è il campione del venetismo e noi invece dei feroci centralisti», afferma Bressa con ironia.
Il premio per gli asili nido
Lo stop agli asili nido con l’ennesimo ricorso alla Consulta verrà votato nel prossimo consiglio dei ministri: ieri il premier Gentiloni ha riferito del raid Usa in Siria e alle 12,30 la riunione si è conclusa. «Abbiamo tempo fino al 30 aprile per impugnare la legge e tutti i pareri acquisiti sono a favore del ricorso alla Consulta», spiega ancora Bressa, «il governo non ha alcuna ostilità preconcetta ma ha il dovere di bloccare i provvedimenti ideologici presentati con grande determinazione da Veneto e Lombardia: non si tratta di analfabetismo giuridico ma di uso politico dell’assemblea legislativa per tenere alto lo scontro con Roma: ne siamo consapevoli. Quanto alla sentenza della Corte costituzionale sulle moschee, è evidente che il comma che imponeva l’italiano era destinato alla bocciatura. Il consiglio regionale ne era pienamente consapevole perché la libertà di culto va rispettata fino in fondo. Non s’è mai visto una Regione o uno Stato vietare le preghiere in lingua islamica per i musulmani o l’ebraico nelle sinagoghe, il greco antico nelle chiese ortodosse, il russo in quelle orientali o il latino per i cattolici», spiega Bressa.
La replica della Regione.
Un passo indietro per capire la ratio di uno scontro giuridico-istituzionale destinato ad accendersi con la campagna elettorale alle porte e il tour di Salvini in Veneto. La legge “anti-moschee” è stata varata nell’aprile 2016 dal consiglio veneto - con 30 voti a favore, otto contrari e un astenuto - per disciplinare i luoghi di culto di nuova creazione. I giudici di palazzo della Consulta hanno cancellato solo il comma relativo all’uso dell’italiano, introdotto con un emendamento del relatore leghista Alessandro Montagnoli. C’è voluto poco all’Avvocatura dello Stato per dimostrare che il vincolo «travalica la finalità di natura prettamente urbanistica del provvedimento e incide sulla libertà di culto». In realtà, l’assessore Elena Donazzan (FI) in aula aveva sottolineato la necessità di impedire «nuovi luoghi di culto creati senza controllo in capannoni, sottoscala, appartamenti privati, in cui l’omelia viene tenuta in una lingua che noi non comprendiamo». Da qui l’obbligo dell’idioma italiano, cancellato dalla Corte costituzionale.
Il vero match tra Roma e Venezia, in attesa del referendum sull’autonomia, si gioca sulle due leggi «prima i veneti». Se lo stop alle graduatorie dei nidi è scontato, altrettanto evidente è il semaforo rosso al provvedimento analogo per i servizi sociali. Tra Zaia e Bressa la guerra continua.
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