Alcoa, chiusura sempre più vicina
Neppure le minacce fermano l’azienda. Il ministro Sacconi: «Se agite come volete, ve la faremo pagare»
Gianni Favarato
2 minuti di lettura

FUSINA. Toni da «guerra fredda» del Governo italiano e dei sindacati dei lavoratori all’indomani dell’ennesimo fallimento del vertice notturno a Roma, conclusosi senza l’auspicato ritiro da parte di Alcoa dell’annunciata cassa integrazione. Il sì di Alcoa alla prosecuzione dell’attività produttiva non è arrivato nemmeno a fronte delle nuove agevolazioni tariffarie sui consumi energetici, prospettate dal Governo, per convincere i dirigenti della multinazionale dell’alluminio a ritirare l’annunciata fermata del Primario di Fusina a Venezia (114 dipendenti) e Portovesme in Sardegna (600) a partire dall’ormai prossimo 6 febbraio.
«Abbiamo la determinazione politica e gli strumenti per fargliela pagare nel caso Alcoa chiudesse il Primario» ha detto ieri in tv il ministro Renato Brunetta, aggiungendo - a proposito della multa della Commissione Europea alla multinazionale per le agevolazioni «illecite» avute dal Governo italiano negli ultimi cinque anni - che «Alcoa deve pagare 300 milioni di euro di multa che non ha ancora pagato ed è ora da noi esigibile».
Non meno duro il commento del ministro Maurizio Sacconi che l’altra notte - dopo il no dell’amministratore delegato di Alcoa Italia, Giuseppe Toia, alle proposte tariffarie del Governo italiano e all’impegno dell’Antitrust Europeo a pronunciarsi al più presto sulla loro legittimità - ha urlato in direzione del dirigente aziendale: «Non fate atti unilaterali, perché se fate come c... vi pare, anche noi facciamo come c... ci pare e ve la faremo pagare».
Uscendo dalla stanza dove Governo e azienda si erano incontrati per l’ultimo tentativo di mediazione, l’amministratore delegato di Alcoa è anche stato apostrofato duramente dai delegati sindacali che nella sala verde attendevano l’esito dell’incontro: a quel punto anche il sottosegretario Gianni Letta ha evitato di intervenire per calmare gli animi, lasciando così sfogare i delegati dei lavoratori che per tutta la notte hanno atteso l’esito dell’incontro al gelido, in piazza Montecitorio. Dal canto suo il ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola, si è augurato che i dirigenti della multinazionale americana «valutino bene le offerte del Governo italiano».
«Abbiamo assecondato le richieste di Alcoa - ha spiegato ieri Scajola - con un provvedimento complesso, un decreto legge sulle tariffe energetiche in linea con le direttive europee e in grado di garantire costi di approvvigionamento in media con i prezzi europei. Ora Alcoa non può venire meno agli impegni richiesti, deve rimanere in Italia. Ma se andrà via non lo farà gratuitamente: li abbiamo messi in condizione di pagare l’energia elettrica come negli altri Paesi europei e ora Alcoa non può venire meno agli impegni presi e cioè che, a quel costo, sarebbe rimasta in Italia. La trattativa è difficile e stiamo cercando di convincerli a rimanere».
Per oggi a Fusina è previsto un incontro tra le Rsu dei lavoratori e la direzione di stabilimento. I sindacati vogliono capire se Alcoa ha intenzione di mantenere in attività gli impianti in attesa del nuovo tavolo convocato dal ministro per l’8 febbraio o se invece vuole fermare comunque gli impianti al ministro per il prossimo 8 febbraio. In tal caso, i lavoratori sono pronti alla lotta più dura».
«Abbiamo la determinazione politica e gli strumenti per fargliela pagare nel caso Alcoa chiudesse il Primario» ha detto ieri in tv il ministro Renato Brunetta, aggiungendo - a proposito della multa della Commissione Europea alla multinazionale per le agevolazioni «illecite» avute dal Governo italiano negli ultimi cinque anni - che «Alcoa deve pagare 300 milioni di euro di multa che non ha ancora pagato ed è ora da noi esigibile».
Non meno duro il commento del ministro Maurizio Sacconi che l’altra notte - dopo il no dell’amministratore delegato di Alcoa Italia, Giuseppe Toia, alle proposte tariffarie del Governo italiano e all’impegno dell’Antitrust Europeo a pronunciarsi al più presto sulla loro legittimità - ha urlato in direzione del dirigente aziendale: «Non fate atti unilaterali, perché se fate come c... vi pare, anche noi facciamo come c... ci pare e ve la faremo pagare».
Uscendo dalla stanza dove Governo e azienda si erano incontrati per l’ultimo tentativo di mediazione, l’amministratore delegato di Alcoa è anche stato apostrofato duramente dai delegati sindacali che nella sala verde attendevano l’esito dell’incontro: a quel punto anche il sottosegretario Gianni Letta ha evitato di intervenire per calmare gli animi, lasciando così sfogare i delegati dei lavoratori che per tutta la notte hanno atteso l’esito dell’incontro al gelido, in piazza Montecitorio. Dal canto suo il ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola, si è augurato che i dirigenti della multinazionale americana «valutino bene le offerte del Governo italiano».
«Abbiamo assecondato le richieste di Alcoa - ha spiegato ieri Scajola - con un provvedimento complesso, un decreto legge sulle tariffe energetiche in linea con le direttive europee e in grado di garantire costi di approvvigionamento in media con i prezzi europei. Ora Alcoa non può venire meno agli impegni richiesti, deve rimanere in Italia. Ma se andrà via non lo farà gratuitamente: li abbiamo messi in condizione di pagare l’energia elettrica come negli altri Paesi europei e ora Alcoa non può venire meno agli impegni presi e cioè che, a quel costo, sarebbe rimasta in Italia. La trattativa è difficile e stiamo cercando di convincerli a rimanere».
Per oggi a Fusina è previsto un incontro tra le Rsu dei lavoratori e la direzione di stabilimento. I sindacati vogliono capire se Alcoa ha intenzione di mantenere in attività gli impianti in attesa del nuovo tavolo convocato dal ministro per l’8 febbraio o se invece vuole fermare comunque gli impianti al ministro per il prossimo 8 febbraio. In tal caso, i lavoratori sono pronti alla lotta più dura».
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