
Pare dunque che i clenti di domani sentiranno sempre meno la necessità di acquistare degli abiti nuovi, guardando con maggiore interesse quelli usati. A confermarlo arriva una proiezione, secondo l'online store thredUP e GlobalData, che ha dell'incredibile: entro il 2028 i rapporti di forza si invertiranno e il mercato degli abiti usati raggiungerà negli Stati Uniti quota 64 miliardi di dollari, contro i "soli" 44 del mercato fast fashion.
Una tendenza che trova molteplici spiegazioni: da una parte, senza dubbio, è figlia di una galoppante attenzione ai temi di sostenibilità ambientale da parte dei consumatori che oggi hanno sempre più consapevolezza di quanto inquina la moda. Dall'altro lato sono cambiate proprio le caratteristiche dello shopping di seconda mano: se una volta si trattava di andare a rovistare in cumuli di abiti vecchi, spesso sporchi o di bassissima qualità, oggi non è più così. Dai negozi fisici, alle bancarelle, per non parlare degli shop online, anche i venditori di abiti usati si sono fatti glam: vestiti selezionati, puliti, e di sempre maggior qualità vengono esposti e venduti a prezzi sempre molto vantaggiosi.
E l'aspetto economico è proprio quello che permette al mercato dell'usato di entrare in concorrenza con la fast fashion, per definizione attrattiva grazie ai prezzi bassi, ma che dall'altra parte comporta molto spesso una riduzione importante della qualità dei materiali, della lavorazione e delle condizioni di lavoro di chi i vestiti li produce materialmente.
La fortuna di chi vende abiti e accessori di seconda mano però non è da ricercarsi solo negli indumenti a basso prezzo, ma anche (e forse soprattutto) nella richiesta da parte del mercato di capi vintage e nel resell degli abiti griffati. Una tendenza molto in voga soprattutto tra i giovanissimi che ha portato alla nascita e alla crescita di numerosi siti e app specializzati e che spesso ha portato start-up digitali a sbarcare anche nella vendita fisica e all'apertura di negozi su strada, come successo a Depop o a TheRealReal.