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Dal portfolio di Larry Sultan Pictures From Home, 1992, (larrysultan.com): My Mom Posing, 1984.
Dal portfolio di Larry Sultan Pictures From Home, 1992, (larrysultan.com): My Mom Posing, 1984. 
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Larry Sultan: l'America attraverso mamma e papà

Il fotografo, grande reporter della vita domestica, ha raccontato l’America ritraendo per oltre 10 anni i propri genitori 

3 minuti di lettura

Quando nasce uno scrittore, quella famiglia è finita...”, diceva il poeta polacco Czeslaw Milosz. Se invece è un fotografo come l’americano Larry Sultan quella famiglia è destinata a essere paparazzata a vita. Il re di quello che potrebbe essere definito una forma di domestic-porn, incursione fotografica nelle vite degli altri (in particolare di sua madre e suo padre), ha dato vita a Pictures From Home: fotomemoir capolavoro di una famiglia in un interno, svelata da molto prima che diventasse comune farlo sui social. 
Ecco quindi il risultato dello “stalkerare”, per oltre 10 anni, i suoi rassegnati (ma alla lunga anche un po’ esaltati) genitori. Che conversano ai bordi del letto, aggiustano l’aspirapolvere, siedono sul divano, magari mentre il padre prova un tiro di golf in salotto con la tv accesa sulle già fakissime telecronache dell’era reaganiana. C’erano infatti Ronald e Nancy alla Casa Bianca quando Irving e Jean Sultan si trasferiscono da Brooklyn alla villetta della San Fernando Valley (dove il padre si faceva chiamare John anziché Irving per non essere stereotipato in quanto  ebreo). Ecco lei supertruccata in garage, lui in piscina a torso nudo rosolato dal sole o a lottare con il barbecue come un dio Vulcano-Homer Simpson della Greater Generation.

Dal portfolio di Larry Sultan Pictures From Home, 1992, (larrysultan.com): Dad On Bed, 1984. Foto courtesy Yancey Richardson
Dal portfolio di Larry Sultan Pictures From Home, 1992, (larrysultan.com): Dad On Bed, 1984. Foto courtesy Yancey Richardson 

«Li ho pure seguiti in vacanza alle Hawaii, poveri», aveva confessato anni fa Sultan. Che mentre i suoi si erano trasferiti nei sobborghi dell’American dream, si era sposato e aveva avuto dei figli, ma anziché fotografare loro si era fissato proprio con i “suoi vecchi”. «Volevo  indagare fotograficamente, antropologicamente, le loro esistenze facendo loro quelle domande che solo da bambino osi fare, ottenendo però risposte senza soddisfazione». Per scegliere cosa scattare Sultan cercava ispirazione nei vecchi filmini di famiglia (Untitled Home Movie Stills è un suo altro lavoro personale) o si ispirava alle star dei film, ricordando che quando era piccolo la madre paragonava il padre a Frank Sinatra «ma per me era James Dean». E quando lo scatto finale era grandioso per il figlio, per padre e madre era da buttar via: si vedevano ridicoli. 
Perché Sultan, per quanto amorevole faceva parte della scuola di arte concettuale della West Coast, per cui i tuoi potevano pure assomigliare alle sculture dedicate alle common people di Duane Hanson. Professore di fotografia al California College of the Arts di San Francisco, voleva fare lo scrittore e Pictures From Home diventò anche un libro (1992, Mack). Ecco uno stralcio: “Quello che mi spinge a continuare questo lavoro ha più a che fare con l’amore che con la sociologia. Più con l’essere un soggetto del dramma che un testimone. Mi sveglio nel cuore della notte, stordito e angosciato. Questi sono i miei genitori”. In un’intervista, alla domanda cos’è un grande fotografo, aveva risposto: «Qualcuno che ti ritrovi nella stanza e gli chiedi ma come c.... ci sei entrato?». Piombare nelle case altrui era la sua ossessione. Nei 35 anni di carriera (morirà nel 2009, a 63 anni e da allora la moglie Kelly cerca di far rivivere i suoi lavori con ogni media possibile) aveva chiesto a molti di posare in gesti di routine familiare, compresi i migranti messicani in fuga dalla loro Homeland.
Buffo come l’ossessione domestica si riveli anche quando Sultan scatta The Valley, altrettanto celebre portfolio sull’industria del porno, spiegando che ad attrarlo era il modo in cui il genere hard-sex sfruttava il contrasto tra trasgressione e ambientazione tinello-cucina. «Per me è la casa che contamina la pornografia e non il contrario. Ero uno che guardava l’amateur porn semplicemente per sbirciare nelle librerie di quei soggiorni scelti come set, le riviste sul tavolino». 
Sempre di cosa fa l’umanità nelle proprie case si parla, cosa che lo aveva reso profetico persino sullo smart-working. In un talk con l’artista Ben Sloat aveva ragionato su gioie e insidie del lavorare a casa: la luce migliore è alle 7 del mattino, ma tuo figlio deve andare a scuola e chi li porta fuori i cani?». Magistrale la risposta che Sultan, da coerente “fotografo di famiglia”, diede a Charlotte Rampling che gli aveva chiesto su Interview: “Cosa indossa al lavoro?”. “Ciabatte”. 


Una grande messa in scena

Cosa c’è dietro quell’album di famiglia? 100 minuti di una pièce teatrale ispirata agli scatti (e alla vita) di Larry Sultan

La vita è una messa in scena e la verità è sempre una questione di performance, di come proviamo a corrispondere ai nostri ideali o ai nostri stereotipi», diceva Larry Sultan, fotografo americano scomparso nel 2009. Così se le foto potessero parlare, rianimarsi come un video interrotto, potrebbero forse rispondere alle domande che ci facciamo guardandole. 
Ora le immagini di interni, i tappeti, la carta da parati e i divani di famiglia (scattati negli anni proprio da Sultan) hanno ispirato un adattamento teatrale, all’ex Studio 54 di New York. In scena “rivivono” i luoghi e i genitori del fotografo, complici riluttanti del suo lavoro, come la madre che sapeva di avere l’obiettivo addosso e faceva finta di dormire. In pratica: stava recitando. 
Quando lo sceneggiatore Sharr White (lo stesso del netflixiano Halston) vide quel progetto quasi ossessivo che è Pictures From Home, in mostra al Lacma, come Larry Sultan: Here and Home pensò che fosse perfetto per il palcoscenico. Detto, fatto. Ne sono nati 100 minuti di family-drama senza interruzioni. Se poi si aggiunge che il teatro dove va in scena è l’ex Studio 54 delle mille luci di New York, si capisce come quel set è una versione off work dell’intera America dell’edonismo reaganiano, delle villette familiari in California, da pensionati di semi lusso. 
Del cast fanno parte la set designer Michael Yeargan, Zoë Wanamaker che interpreta mamma Jean (con le parruccone alla Dallas), mentre papà Irving è Nathan Lane (tra tute Adidas e completi da businessman con sindrome dell’impostore). Ma come adattare le foto a dialoghi teatrali? Con le interminabili discussioni padre-figlio su cose tipo: «Io ci metto la faccia, tu la firma, a chi la gloria?». Sui videowall scorrono le foto «e il pubblico passa dagli ah!, agli haha, ai sob commossi», racconta Danny Burstein, che sul palco interpreta Larry. La pièce teatrale ha già vinto il Miglior adattamento 2023 del Wallpaper Design Awards.