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Diventare genitori con la procreazione medicalmente assistita: un percorso ancora impervio e non inclusivo

Photo by Jonathan Borba on Unsplash
Photo by Jonathan Borba on Unsplash 
Alla vigilia dei vent’anni della Legge 40 che regolamenta in Italia le tecniche di procreazione medicalmente assistita, il percorso verso la genitorialità è meno ripido di un tempo, ma ancora sono presenti molti limiti per chi desideri mettere al mondo un figlio. I bambini nati grazie alla PMA sono a oggi l'2,8% del totale. Facciamo il punto su cambiamenti legislativi, procedure, costi e ticket, limiti di età della futura mamma, diversi a seconda delle regioni italiane, e turismo procreativo
6 minuti di lettura

Sono passati quasi 45 anni da quando, in una giornata di luglio, è nata nel Regno Unito Louise Brown, la prima bambina concepita grazie alla fecondazione assistita. Da allora, si calcola che oltre dieci milioni di bambini nel mondo siano nati con tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). In Italia, secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità, il numero di nati grazie alla PMA si attesta al 2,8% del totale. Un numero legato a doppio filo alla Legge n.40 del 2004 che regolamenta queste tecniche nel nostro Paese. Sul tema, l’ultima parola non è ancora stata scritta: nel corso degli anni, infatti, una serie di sentenze ha allargato il perimetro della sua applicazione. “A oggi, rimangono il divieto di utilizzo di embrioni per la ricerca scientifica e il divieto di accesso alla fecondazione assistita per single e coppie omosessuali”, fa il punto la dottoressa Chiara Riviello, ginecologa, medico legale e agopuntore che supporta con la medicina integrata le donne nel loro percorso verso la maternità. “Se il divieto di utilizzare embrioni per la ricerca scientifica ha un impatto poco rilevante sulla vita quotidiana dei cittadini, il secondo riguarda la più ampia sfera delle famiglie non convenzionali - continua la dottoressa Riviello -. La legge, insomma, non riconosce ancora come famiglie quelle che rispondono alla definizione “di comunità di affetti”, indipendentemente dalla visione tradizionale della coesistenza dell’uomo e della donna uniti da un legale religioso o civile”. Le sentenze, inoltre, hanno eliminato il limite di tre ovuli precedentemente imposto per l’impianto, una modifica che mira a tutelare la salute della donna che deve sottoporsi a stimolazione ormonale. È stato anche abrogato il divieto di fecondazione eterologa e ammesso l’accesso alla PMA a coppie fertili con patologie trasmissibili che adesso possono eseguire la diagnosi pre-impianto al fine di permettere l’impianto di embrioni sani. 

Procedure e costi

Secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si può ricorrere alla PMA dopo 12/24 mesi di rapporti liberi e non protetti, con una diagnosi di infertilità o sterilità. Il dato si abbassa a sei mesi per le donne di età superiore ai 35 anni o per quelle che presentano patologie dell’apparato riproduttivo. Le metodologie disponibili sono divise in tre livelli, a seconda della complessità.
- L’Inseminazione Intrauterina (IUI) è una metodica di primo livello che seleziona gli spermatozoi più mobili e resistenti attraverso un procedimento di capacitazione prima dell’inserimento nella cavità uterina durante un intervento ambulatoriale. In genere, è preceduta da una blanda attività farmaceutica di crescita follicolare che aumenta le possibilità di successo dal 7-10% del ciclo spontaneo al 15-25% per le donne Under 35 (dati Center for Disease and Control).
- Le tecniche di secondo livello, invece, comprendono la Fertilizzazione in Vitro Embryo-Transfer (FIVET) e l’Iniezione Intracitoplasmatica dello Spermatozoo (ICSI). Con la tecnica Fivet, gli ovociti ottenuti tramite stimolazione ormonale e raccolti tramite pick-up sotto sedazione vengono depositati in terreni di coltura specifici a cui sono aggiunti gli spermatozoi preparati in laboratorio. Gli embrioni risultanti sono poi trasferiti nella cavità uterina per l’impianto. Il tasso di successo per le donne Under 35 si aggira sul 35%, ma con un 20% di rischio di aborto spontaneo. La Iniezione Intracitoplasmatica dello Spermatozoo (ICSI), invece, è la tecnica che, più di tutte, ha moltiplicato le possibilità di successo della PMA, in quanto prevede la possibilità di valutare al microscopio la maturità nucleare degli ovociti (raccolti tramite pick-up come nel caso della FIVET) prima dell’introduzione di un singolo spermatozoo direttamente all’interno del citoplasma ovocitario. In pratica, è l’immagine iconica dell’ago che vediamo replicata nei servizi in cui si tratta di PMA. Con un tasso di successo del 45% per le under 35, questa tecnica si utilizza nel caso di un limitato numero di ovociti disponibili oppure nel caso di infertilità maschile, ovvero oligospermia (ridotto numero di spermatozoi), astenospermia (ridotta motilità), teratospermia (anomalie morfologiche degli spermatozoi) e azoospermia (assenza totale di spermatozoi).
- Le tecniche di terzo livello, invece, riguardano l’estrazione degli spermatozoi dai testicoli tramite ago sottile nel caso di TEFNA (Aspirazione percutanea testicolare con ago) e di biopsia testicolare nel caso di TESE (Estrazione Testicolare degli Spermatozoi). I costi di queste procedure variano in base alla complessità dei trattamenti: “Approssimativamente, la IUI costa tra i 500-700 euro, le tecniche di secondo livello variano fra tremila e cinquemila euro. Ci sono anche molte variazioni regionali: in Lombardia, per esempio, le pratiche di PMA sono a carico del SSR se eseguite in convenzione, in Toscana, invece, è necessario pagare il superticket da 500 euro”, prosegue la dottoressa Riviello.

Il privato fa la parte del leone

La ricerca condotta dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nel 2020 ha contato 322 centri di PMA attivi in Italia, di cui 101 pubblici, 20 privati convenzionati con il SSN e 211 privati. In 57 centri vengono effettuate tecniche di diagnosi pre-impianto e in tutti i centri autorizzati è attivo il sistema di sorveglianza del Registro nazionale PMA dell’ISS che offre un quadro dell’attività svolta e delle prestazioni fornite. In base agli ultimi rilevamenti, il 61,2% dei cicli di II e III livello con gameti della coppia sono stati coperti dal SSN. Con 1.117 cicli di trattamenti per le tecniche di II e III livello per milione di abitanti, il dato italiano è inferiore a quello europeo che, nel 2017, si attestava su 1.435. L’età media delle donne italiane che si sottopongono a trattamenti di PMA che non richiedono crio-conservazione è di 36,9 anni (contro i 35 della media europea), mentre l’età delle donne che ricorrono alla donazione di gameti è di 41,8 anni. All’ultimo monitoraggio, inoltre, la donazione di gameti rappresentava l’11,6% dei cicli di PMA eseguiti in Italia. Quanto alle liste d’attesa, molto dipende dalle regioni e dal periodo dell’anno. "Talvolta è necessario attendere tra i 6 e i 12 mesi prima della prima visita, altre volte nel corso di 1-2 mesi si può già procedere alla FIVET. Qualora non si riesca ad avere un appuntamento in tempi brevi nella propria regione si può sempre ricorrere al percorso attraverso prestazioni extra-regione. Una formula che consente di essere seguiti sempre in ambito pubblico, ma in un centro fuori dalla propria regione, con un netto accorciamento dei tempi di attesa,”, precisa la dottoressa Riviello.

Accessibilità: l’Italia non brilla

Nel suo ultimo report, Fertility Europe, l’organizzazione pan-europea che rappresenta le associazioni di pazienti dedicate all’infertilità e che si batte per garantire l’accesso alle procedure nell’ambito del sistema sanitario senza discriminazioni di orientamento sessuale e stato civile, ha monitorato oltre 40 paesi e ha sottolineato che, alla fine del 2021, cinque paesi non possiedono una legislazione in tema di riproduzione assistita (Albania, Bulgaria, Irlanda, Romania e Ucraina). L’Italia, insieme ad Austria, Bulgaria, Germania, Latva e Nord Macedonia si trova in una posizione intermedia, in quanto garantisce accesso ai trattamenti per alcuni gruppi selezionati e mette a disposizione fondi in modalità variabile. 

In alcune regioni, soprattutto al Sud, la prestazione è principalmente erogata privatamente, anche se sono in netto incremento i centri privati convenzionati che si aggiungono ai centri pubblici di riferimento”, aggiunge la ginecologa. I paesi più virtuosi, invece, comprendono Belgio, Francia, Israele e i Paesi Bassi che, oltre a offrire fondi ai cittadini li tutelano con legislazioni all’avanguardia. Alla fine della classifica, la lista dei paesi che non offrono questi trattamenti comprende l’Albania, l’Armenia, l’Irlanda e la Polonia. Quanto alla donazione degli embrioni, non è permessa in Italia, Austria, Armenia, Bielorussia, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Danimarca, Islanda, Italia, Kazakistan, Norvegia, Slovenia, Svezia, Svizzera e Turchia. Sono molte, infine, le coppie italiane che si affidano al turismo procreativo: “Soprattutto per l’eterologa - commenta Riviello -, molte le pazienti varcano il confine per potersi sottoporre alla fecondazione utilizzando gli ovociti “freschi” e non crioconservati da banca che assicurano tassi di successo più alti, in quanto in Italia il numero di donatrici (ma anche di donatori) non è sufficiente per sopperire alle necessità e i centri di PMA ricevono i gameti crio-conservati da banche estere”. 

I limiti di età per accesso alle procedure nel pubblico e il numero di tentativi variano da regione a regione. La Lombardia non mette limiti anagrafici per la fecondazione omologa, ma limita il numero di tentativi (3), mentre il Veneto sale a quattro tentativi e 50 anni d’età per la fecondazione omologa ed eterologa. Con 42 anni, l’Umbria ha il limite più basso.

Ostacoli non scritti

Al di là dei dati, permangono zone d’ombra relative alla PMA. “In Italia manca una impostazione di consapevolezza e tutela della fertilità fin da giovani - riflette Riviello -. Vedo giovani donne che ritengono di poter essere fertili ben oltre i 40 anni e per tale motivo pospongono la gravidanza oltre i limiti biologici che natura consente”. A questo si aggiungono le difficoltà socioeconomiche dei giovani, il tempo passato nel limbo dopo gli studi alla ricerca di stabilità economica e indipendenza dalla famiglia di origine. “Bisognerebbe istruire i giovanissimi non solo sulla sessualità, ma anche sulla fertilità, per far sì che le scelte genitoriali siano autonome e non dettate dalle condizioni sociali ed economiche”.
Esiste poi il capitolo della crio-conservazione ovocitaria. “A oggi è permessa solo in caso di patologie neoplastiche o di marcata gravità, ma in alcuni casi potrebbe essere un mezzo di salvaguardia per la fertilità femminile”. Tutti elementi che indicano che il clima culturale in cui gli aspiranti genitori si muovono è ancora lontano dall’accoglienza: “Vedo tante donne che si sentono giudicate dalla società nelle loro legittime scelte genitoriali o nelle loro difficoltà procreative. Molte altre presentano imbarazzo nel comunicare il loro percorso in famiglia o nell’ambiente di lavoro e soprattutto attribuiscono al fallimento una connotazione di colpa personale, che dovrebbe invece essere esclusa dal percorso”, osserva la dottoressa Riviello. Una misura utile potrebbe essere l’incremento del supporto psicologico, pur presente in moltissimi centri di fertilità che affrontano la problematica con approccio multidisciplinare, alla compresenza del ginecologo, andrologo e psicologo: “È importante dare agli aspiranti genitori il modo di difendersi dal persistente retaggio culturale che attribuisce il giudizio negativo di inadeguatezza a una coppia e più spesso alla donna che non riesce ad avere figli”, conclude la dottoressa Riviello.