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Covid, i test rapidi “fai da te” sono ancora attendibili: sì, ma vedremo con le prossime varianti

Studio britannico analizza i dati forniti dai tamponi antigenici e la loro efficacia rispetto a quelli molecolari. Gli esperti: «Hanno individuato quasi tre quarti delle infezioni »

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(ansa)

«Non ci sono ragioni per credere che i test antigenici rapidi autorizzati al commercio abbiano perso capacità di individuare le nuove e nuovissime varianti circolanti». La precisazione arriva da«Dottore, ma è vero che?», il sito anti-bufale della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo), in risposta a una domanda che in tanti si fanno da quando si sono affacciate sulla scena nuove e nuovissime varianti di Sars-Cov-2.

«I tamponi rapidi per Covid-19 non funzionano più?». Sin da quando sono entrati in commercio, questi esami sono stati gravati dal sospetto di essere molto meno affidabili dei molecolari. Con la circolazione delle nuove varianti, i dubbi sull'efficacia dei test rapidi sono tornati. Dubbi fondati?

Sul fatto che la loro affidabilità si sia ridotta con le nuove varianti «ci sono studi dai risultati contraddittori - si spiega sul sito - anche perché la performance dei test dipende in ogni caso dal grado di circolazione del virus in un determinato contesto, dalla carica virale del paziente, dalla correttezza e dalla tempistica di esecuzione del tampone, dalla qualità del singolo prodotto e da molte altre variabili individuali di cui è difficile tenere conto».

Lo studio sulle varianti Alfa, Delta e Omicron

Cerca di fare chiarezza uno studio pubblicato, qualche mese fa, su Lancet Infectious Disease, con i risultati di tre diversi kit, su una popolazione via via sempre più vaccinata, in tre fasi della pandemia: durante l'ondata della variante Alfa, nella primavera del 2021; quando prese piede la variante Delta, nell'estate-autunno dello stesso anno; dopo l'arrivo della variante Omicron, all'inizio del 2022.

I ricercatori britannici hanno preso in considerazione i risultati di circa 75.000 coppie di test rapidi e molecolari eseguiti sullo stesso individuo nella stessa circostanza. Dal confronto emerge una sensibilità del 63,2% dei test antigenici rispetto ai molecolari, valore che sale al 68,7% nei pazienti con sintomi e scende al 52,8% negli asintomatici. Ma, si sottolinea, «non sono state individuate differenze tra la capacità di individuare la variante Delta rispetto ad Alfa (e al virus precedente). La comparsa di Omicron non ha fatto sfuggire più casi, ma ha anzi aumentato la percentuale di positivi».

Lo studio «di alcune catene di contagio ha inoltre permesso di verificare che anche dopo l'arrivo di Omicron i test rapidi permettevano di individuare quasi tre quarti delle infezioni con una carica virale sufficiente a trasmettersi ad altri».

I risultati di questo studio fanno ben sperare, ma - fanno notare gli esperti di «Dottore, ma è vero che?» - altre ricerche hanno sollevato dubbi al riguardo. Non c'è una risposta definitiva, dunque, alla domanda se i test rapidi, che sono ancora gli stessi prodotti sulla base della sequenza originaria del virus comparso a Wuhan, siano in grado di riconoscerla ancora.

L'emergere di nuove varianti, e in particolare di BA.2.86 - la temuta Pirola - che presenta più di 30 mutazioni di distanza dalla omicron BA.2 da cui si è staccata, rinforza questa domanda.

«Va detto, però - chiosano gli esperti - che la quasi totalità dei test è basata sulla ricerca di porzioni della proteina N, mentre a cambiare nel tempo è soprattutto la proteina Spike. In ogni caso, sia la Food and Drug Administration statunitense sia la Commissione europea sorvegliano sull'insorgenza di varianti che riducano l'efficacia dei test, tenendo aggiornate le liste di prodotti riconosciuti come validi, che chiunque può consultare prima dell'acquisto».

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