In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Granchio blu, 5 ragazze aprono la caccia

La loro startup Blueat compra (a prezzo fisso) tutti i crostacei infestanti consegnati dai pescatori e li esporta negli Usa

LUIGI GRASSIA
2 minuti di lettura

Creato da

Le cinque fondatrici della Blueat di Rimini

 

“Se non puoi batterli, fatteli amici” diceva Giulio Cesare. È un proverbio che con i granchi blu si potrebbe declinare così: “Se non puoi estinguerli, mangiali!”. Sembra impossibile eliminare questa specie aliena e infestante che divora gli allevamenti italiani di cozze, vongole e ostriche, ma farne oggetto di cattura, lavorazione e vendita a scopo alimentare trasformerebbe un problema in risorsa. Si sono date quest’obiettivo 5 ragazze che hanno fondato la Blueat di Rimini, un’azienda nata piccola ma fin da subito multinazionale, con un mercato di esportazione negli Stati Uniti e premi vinti a Chicago, in Canada e in Islanda, anche grazie al supporto della Gea – Consulenti di direzione di Luigi Consiglio.

Le neo-imprenditrici non si sono fatte trovare impreparate dall’emergenza esplosa quest’estate. Una di loro, di professione biologa marina, si era accorta del problema già un paio d’anni fa. “Stavo partecipando a un progetto di ricerca in barca a vela per una onlus, lungo le coste italiane” racconta a La Stampa Carlotta Santolini, oggi ventisettenne, “e parlando con i pescatori ho scoperto che stava nascendo questo problema. Ne ho discusso con un’amica e abbiamo deciso di creare una startup per provare a risolverlo”. Ma come, così, detto e fatto? “Beh sì, non siamo state a pensarci su. Quando si affronta una questione scientificamente si fanno i monitoraggi, ma dopo i monitoraggi che si fa? Noi avevamo promesso ai pescatori di Policoro, in Basilicata, di aiutarli, perciò abbiamo fondato un’azienda”.

Parlando di “noi” Carlotta si riferisce alle sue socie Giulia Ricci (25 anni) che si occupa della parte business, Matilda Banchetti (25) che segue la filiera e la logistica, Ilaria Cappuccini (27) specialista in comunicazione, ricette e showcooking per promuovere il prodotto, e Alice Pari (37) che è responsabile delle relazioni pubbliche e segue gli aspetti legislativi, in particolare la possibilità di accedere a fondi europei (“abbiamo già superato una prima selezione”).

L’attività di Blueat consiste in questo: l’azienda si impegna a comprare a prezzo fisso (notare questo dettaglio fondamentale) tutti i granchi blu che le vengono consegnati (altro fattore cruciale), poi la materia prima viene avviata a un impianto di lavorazione di Mestre (non di proprietà di Blueat) che sguscia i granchi, li trasforma in polpa e li inscatola; infine Blueat provvede al trasporto e alla distribuzione in Italia e all’estero, cioè (per adesso) soprattutto in America. I pescatori si obbligano a seguire un ben preciso protocollo: possono pescare il granchio blu solo usando “nasse”, che sono trappole apposite (esclusi altri metodi, come la pesca a strascico) e devono trattarli, conservarli e consegnarli nella maniera stabilita.

Le cinque ragazze non hanno intenzione di limitarsi all’Italia; Carlotta proprio in questi giorni sta stringendo accordi con pescatori anche in Albania e in Croazia.

La capacità di lavorazione dell’impianto di Mestre è di 15 tonnellate di granchio blu al giorno; Carlotta spiega che “siamo arrivati fino a 5 tonnellate, ma negli ultimi giorni è sorta una difficoltà imprevista: le consegne sono diminuite, perché da quando il governo ha stanziato 2,9 milioni per lo smaltimento dei granchi come materiale di scarto, molti pescatori preferiscono buttarlo via in questo modo e prendere l’indennizzo”. Ma come, allora i contributi pubblici vi sottraggono il mercato? E che cosa si può fare? “Non lo so – risponde Carlotta – ne ho parlato al telefono col ministro Francesco Lollobrigida”. Con quale risultato? “Anche lui si è detto sorpreso del problema e mi ha garantito che si muoverà in qualche modo”.

I commenti dei lettori