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Corrado Alfano: "La pizza? Oggi è stravolta. Bisogna ripartire dalla formazione"

Corrado Alfano: "La pizza? Oggi è stravolta. Bisogna ripartire dalla formazione"
Il racconto di un artigiano molto amato e del suo punto di vista su un mondo che ha visto nascere, con le sue contraddizioni e i suoi punti di forza
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I social creano dei mostri. Lo crediamo e lo diciamo un po' tutti, e in parte è vero, a seconda almeno della definizione che si dà alla parola mostro. Nell'enogastronomia più il prodotto è pop, più l'interdipendenza degli attori principali dai social è importante e predominante. Per alcuni eccessivo. In un marasma di voci più o meno interessanti, alcune si levano ben chiare e dirette e, nonostante la fama social (considerata, da alcune frange, quasi un demerito) diventano dei punti di riferimento per leggere a livello sociale un movimento che è impossibile (sociologicamente ed economicamente) ignorare. Corrado Alfano, 49 anni, proprietario della PiGreco di Volla, orlo esterno della galassia napoletana, è sicuramente tra questi. Diretto, fortemente critico nei confronti di alcune modalità di imprenditoria, senza problemi a dirlo, è il volto di chi la rivoluzione della pizza l'ha vissuta tutta. Da ben prima che l'idratazione diventasse più importante del pomodoro e che arrivasse il pizza-snobismo. 

 

Una storia che parte da lontano, dalla tarda adolescenza di chi ha iniziato a fare questo lavoro molto presto, ma che comincia a raccontare il suo percorso dalla fine. Da quella pizzeria aperta un anno fa (8 marzo 2022) che è il punto di arrivo di una carriera che non l'ha mai visto imprenditore. E il nome è già un grande racconto. "Ogni volta che mi chiedono come mai questo nome, mi sento caricato di entusiasmo e responsabilità. Ho studiato a lungo prima di sceglierlo e in parte ho quasi dovuto passare un piccolo esame, con i miei figli". I figli che tornano molto spesso nel suo racconto, ma non con enfasi eccessiva, piuttosto come perno di una realtà solida. "Ho scelto questo nome per collegare gli studi di mio figlio, che è ingegnere, al mio mondo. Perché ci tengo a sottolineare una cosa, PiGreco pizzeria è un progetto di tutta la famiglia Alfano, mio come di mia moglie e dei miei figli". Figli con cui ha un rapporto intenso e viscerale, quasi poetico in un mondo decisamente patinato. "Oltre al motivo pratico di collegamento con gli studi di mio figlio, che poi è stato lui a scegliere in realtà il nome, c'è anche una motivazione filosofica. Il 3,14 è il numero che tende all'infinito, un infinito al cui interno se scavi puoi trovare tutti i perni della tua vita, dalla data di nascita del figlio che devi ancora avere a quella del giorno in cui ti sei sposato". Terzo, ma non ultimo. "Il PiGreco Day è il 14 marzo, la comunità scientifica ha scelto questa data che è anche quella in cui è nata mia figlia", la secondogenita. E questo chiude il cerchio "e aiuta anche il marketing, perché resta impresso nella memoria". 

 

 

Ma come si raccontano gli ultimi decenni del mondo pizza a una generazione che arriva oggi, e lo vede brillante, figo, modaiolo. Com'era fare il pizzaiolo quando Corrado Alfano ha iniziato? "Una grande differenza penso sia sulla consapevolezza. Io nel mio modo di usare i social (spesso costruttivo, tanto che è diventato una sorta di guru tra i più giovani, ndr) cerco spesso di spiegare che non bisogna solo fare il pizzaiolo, ma imparare come si fa. Fare una pizza, fare un pizzaiolo e fare pizzeria sono tre concetti totalmente diversi. La differenza che porta a superare i vari step è l'ossessione, un sentimento che va oltre la passione. Io per il mio lavoro ho in bilico il mio matrimonio da 27 anni, il rapporto con i miei figli da 22 e quello con me stesso da molto di più, perché tanto è che faccio questo mestiere. Non voglio fare il plateale, non voglio esagerare, però è una realtà, come tutti i compleanni dei miei figli a cui sono mancato. Non è facile, bisogna fare pace con sé stessi, combattere i propri demoni, perché tenere i rapporti sempre in bilico, ti logorano. Non stanno male solo i tuoi affetti se non ci sei mai, ma anche te stesso. E al di là dell'ego di ognuno, della tendenza di altri di esagerare, spente le telecamere di questi onnipresenti telefonini, siamo un po' tutti uguali". 

 

Sold out, termine moderno che, in questo micro mondo, vuole sintetizzare le file chilometriche al di fuori delle pizzerie più famose. "Io ho avuto la fortuna di iniziare quando questo termine non esisteva. Noi partivamo dalle tavole (i contenitori dove vengono posti i panetti già suddivisi e pronti per essere lavorati, ndr) e quando le vedevamo vuote potevamo guardare il nostro datore di lavoro ed esclamare soddisfatti di aver fatto un buon lavoro. Ma non avevamo pacche sulle spalle e soprattutto non avevamo like a supportare una soddisfazione" che era decisamente più normalizzata. "Noi non venivamo osannati, non ci sentivamo superiori, avevamo la semplice e sacrosanta soddisfazione di aver fatto bene il nostro lavoro", e tutto finiva li. 

 

"La vera differenza tra quei tempi, quelli in cui sono cresciuto io lavorativamente, e quelli di oggi è la figura apicale della gerarchia lavorativa. O'Mast (termine napoletano per indicare un datore di lavoro, ma ancora di più un maestro di bottega, ndr) lavorava insieme a noi e faceva lo stesso lavoro cento volte meglio. Oggi quella figura si è persa, in quanto molto spesso troviamo degli imprenditori che hanno guadagnato il loro tesoretto in altri settori e scelgono di investire nella ristorazione per diversificare. E che quindi non hanno una manualità pratica in quello che è questo mestiere". Fattore che apre uno spazio quasi antropologico, in cui il dipendente si sente emergere "in una rivalsa anche sociale verso magari il miliardario o comunque l'uomo borghese che non è capace di produrre artigianalmente quel prodotto che invece il pizzaiolo sa fare. E questa figura, che ovviamente non rappresenta, beninteso, la totalità dei miei colleghi, finisce per arrogarsi dei diritti che non ha. Come se saper fare un impasto o saper alzare un cornicione ci rendesse degli dei". 



"Quando ero giovane io, era un mestiere semplice, anzi fin troppo. Molto spesso arrivava dietro il bancone chi non voleva o non poteva studiare, oggi come in altre professionalità questo fortunatamente è cambiato. Anche grazie ai social, che decisamente non sono solo negativi, per quanto e me piaccia coglierne l'ironia e raccontarli così. Sarei poco onesto con gli altri e con me stesso se non cogliessi e raccontassi la grande evoluzione che si è avuta soprattutto negli ultimi decenni, se non percepissi anche nei ragazzi che vengono a lavorare nella mia pizzeria il passo in avanti fatto e l'orgoglio con cui magari parlano di impasti e snocciolano nozioni di chimica. Non dobbiamo però dimenticarci che il nostro è un mestiere di servizio, ma soprattutto un mestiere pratico, non possiamo basarci solo sulla teoria". 

 

Teoria e pratica. Attualmente i corsi di formazione sono delegati ai privati o alle associazioni di settori, e nonostante l'importanza economica e sociale sempre maggiore del mestiere di pizzaiolo, ancora non si parla di istituzionalizzazione di questo percorso di studi. "Sarebbe importante che la formazione in questo mestiere venisse resa ufficiale, chiuderebbe il cerchio di una presa di dignità e di coscienza di una categoria professionale che fino a dieci anni fa era ignorata. Sarebbe consono, come primo passo, iniziare a creare negli istituti alberghieri un corso, magari settimanale, che possa dare spazio a chi vuole affacciarsi a questo mestiere e al fare pizzeria. Perché è proprio il concetto di fare impresa attorno al disco di pasta che forse manca e che potrebbe, nel caso venisse istituzionalizzato, rendere il tutto ottimale. E funzionante". Come in tutte le peculiarità che distinguono la cucina di una cucina da quella di una pizzeria "e che sono uno dei segni più importanti del cambiamento dei tempi. Io oggi utilizzo materie prime che quando nei primi 20 anni di questo mestiere nemmeno sapevo esistessero e ancora oggi continuo ad evolvermi, a studiare e ad approfondire, anche attraverso il confronto con i colleghi".

Studiare è la via per saper fare "senza esagerare. Io per esempio non metto mai più di 4 ingredienti su una pizza, in modo da non mettere mai il mio impasto in secondo piano. È una questione di equilibrio". Studiare "ti mette, come è successo a me, anche nelle condizioni di dire di no a opportunità imprenditoriali che non nascono certamente per aiutare il pizzaiolo, magari affascinato dalle sirene del proprio nome in grande sull'insegna del negozio, quanto piuttosto imprenditori poco chiari. E allo stesso tempo nelle condizioni di affrontare la propria impresa in maniera sana, senza aprire il cassetto della cassa la sera, tirare fuori mille euro e instascarli pensando che siano tutto guadagno. Non è così che si fa impresa sana, eppure succede molto spesso. Ed è un qualcosa che si deve cambiare". 

La concretezza di un artigiano umano, ancora con le mani sporche di farina e un sorriso cordiale. "Qual è la cosa più importante? Il cliente. Ma non è solo la cosa più importante, è l'unica cosa che conta.