Jala, Ap, Ambu, Amrta, l’acqua in sanscrito ha diversi nomi. Nell’ayurveda fa parte dei Pancha Mahabhuta: i cinque elementi di cui è costituito tutto l’universo e di conseguenza l’essere umano. L’acqua sostiene, promuove e protegge la vita. Come non associarla al principio femminile che ci avvolge e abbraccia? Come ce la descrive l’ayurveda nel nostro corpo?

Ci sono cinque acque. La prima è presente nello stomaco: è liquida e schiumosa aiuta a digerire nella maniera corretta e a sciogliere il cibo. Quando qualcosa non va in quest’acqua sentiamo subito un senso di pesantezza, di nausea e vomito. A livello più sottile è colei che ci permette di essere morbidi verso ciò che viviamo a livello emozionale. Si può diventare fluidi quando non si oscurano né sopprimono le emozioni: si vivono, si comprendono e si assimilano. Ce la possiamo immaginare come l’umido che si crea in una terra fertile. L’umidità è ciò che conserva un’emozione senza renderla troppo “fredda” né troppo “secca”. Avvolge, sigilla e nutre.

La seconda acqua è quella del cuore. Lo protegge, crea un isolamento termico che permette di far fluire liberamente la sua energia. Quando qualcosa non funziona bene si può sentire una pesantezza nel petto, un senso di inerzia e pigrizia. A livello sottile quest’acqua è l’essenza della Madre Terra, colei che ha il desiderio di avere cura degli altri, delle piccole cose. La pioggia nutre la nostra terra come una madre, mantenendo il profondo principio della conservazione.

Poi abbiamo la terza acqua, fisicamente collocata nella lingua. È lei che ci fa sentire i sapori, è lei che nutre tutti i nostri impulsi ancor prima che digeriamo il cibo. Quando quest’acqua non è in equilibrio, ahimè, è un bel guaio. È colei che più di tutti non ci fa gustare cosa stiamo mangiando, se non funziona perdiamo la nostra capacità di riconoscere ciò che è dannoso o meno per il nostro corpo e cominciamo ad ingurgitare cibo senza “sentirlo”.
Obesità, bulimia, anoressia, disturbi alimentari partono dallo squilibrio di quest’acqua. Riconosciamo questo sbilanciamento dalla patina sulla lingua: bianca, spessa e maleodorante: la tossina diventa l’ospite indesiderato del nostro corpo. A livello sottile è l’acqua che ci fa amare ed avere stima di noi stessi. Se pensiamo alla radice della cattiva nutrizione è il poco amore che abbiamo per noi stessi. Tutto quello che a differenza riguarda un grande equilibrio nel corpo di questa terza acqua è legato ad una corretta percezione di noi.
Il cibo è il veicolo per riempirci del Prana (energia vitale) proveniente dalla Natura. Il nostro corpo è un tempio e non una discarica.

La quarta acqua ce l’abbiamo nella testa. È colei che crea il collegamento e scorre nel midollo spinale, nel cervello. L’acqua ha la capacità di conservare la memoria. Motivo per cui quando quest’acqua va in squilibrio ci secchiamo, ci dimentichiamo, confondiamo le idee, il nostro cervello non fa fluire bene i ricordi e le informazioni. A livello più sottile è forse il punto acquoso più ricercato. Quest’acqua, se è in equilibrio, ci dà calma e forza. È colei che acquieta le tempeste dei pensieri e della mente tramite la meditazione, lo yoga e le forme più profonde di preghiera e spiritualità.

La quinta si trova nelle giunture e dà la forza e la flessibilità. Quando non funziona ci blocchiamo e proviamo dolore. Se la vediamo a livello sottile è il nostro collante con la vita. Il movimento della camminata, di alzare un braccio o ruotare il collo ci permettono di vivere e tuffarci nella vita. In sanscrito c’è una bella frase che descrive come dovrebbe essere la migliore acqua: “La migliore acqua da bere è tutta quella che è leggermente astringente e dolce, sottile, chiara, leggermente secca e non generante secrezioni” e continua con un semplice consiglio: nelle difficoltà ad andare in bagno, purifichiamoci con l’acqua bollita per qualche minuto che aiuta l’apparato digerente e conferisce regolarità.