Cambiare per rimanere fedeli a sé stessi, senza smettere di evolvere. È lo spirito che anima Ruffino, azienda vinicola fondata nel 1877 dai cugini Ilario e Leopoldo e dal 2011 ceduta a Constellation Brands, dopo un passaggio nelle mani della famiglia Folonari. “Volendo usare una metafora stiamo cambiando gara - esordisce Sandro Sartor, presidente e ceo di Ruffino - Il percorso di crescita in bottiglie, volumi e fatturato, di un risanamento su scala adeguata è un fatto. Si punta sempre più alla valorizzazione degli asset, alle tenute agricole e a rendere merito ai vini delle tenute”. Un percorso durato anni, innescato dal passaggio a modello manageriale dalla conduzione semi-familiare, sancito negli ultimi anni dagli impegni che l’azienda ha preso verso l’ambiente, i nuovi vigneti, la società e la sostenibilità, e non da ultimo il restyling delle etichette. Ma anche l’istituzione di un ‘winemaking council’ formato da Stefano Poni e Alberto Antonini. “E’ un onore essere riusciti a unirli nello stesso gruppo di lavoro - commenta Sartor - Entrambi condividono un forte legame con la Toscana, una consolidata esperienza con il Sangiovese, e una grande sensibilità verso la sostenibilità”.
“Non voglio dire che Ruffino non abbia mai avuto consulenti - prosegue il presidente - ma negli ultimi quindici anni non ci sono stati”. Nel segno della continuità e ulteriore innalzamento della qualità, il winemaking council istituito lavorerà insieme al capo enologo Gabriele Tacconi e al direttore delle tenute Maurizio Bogoni. “Non sono mai stato un fan del modello che lavora con la consulenza, perché tipicamente arriva e dice cosa fare. Capisco in una piccola azienda il cui enologo non è una superstar e ha bisogno di qualcuno che lo indirizzi. Ma noi abbiamo diversi wine makers interni e il know how del nostro vino deve essere interno, non in mano a consulente esterno”. Nelle parole del presidente si legge chiaro il desiderio di non delegare, di non demandare la responsabilità del risultato ad altri: “Chiedere di fare un vino buono che vende è come scaricare la responsabilità del risultato. È un principio che non accetto, non lo abbiamo mai adottato”.

Il comitato, avvalendosi delle esperienze professionali e umane, dovrà fungere da stimolo, “ispiratore per i nostri wine makers che lavorano ogni giorno per la stessa azienda, nella stessa cantina, sullo stesso vino. Impegnati così è difficile per loro avere un’idea di cosa succede nel mondo del vino. Anche se viaggiano e partecipano alle fiere, alla fine rimangono condizionati dal ‘abbiamo sempre fatto così’, rischiano di diventarne schiavi”. Si facilita e stimola dialogo e confronto con chi conosce il territorio sul quale operano, ma anche il resto del mondo. Come tiene a sottolineare Sartor: non consulenti nel senso tradizionale, ma council, comitato, che rispecchia la filosofia aziendale della forza collettiva, non del singolo.

Figure di rilievo enologico internazionale che negli anni hanno saputo mantenere il legame con la regione e il vitigno di elezione. Docente di Viticoltura all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e direttore del master Venit di viticoltura sostenibile, Stefano Poni disporrà a favore dell’azienda e delle vigne le sue conoscenze di agronomo. In cantina l’enologo Alberto Antonini con il suo bagaglio di esperienze e studi fra Bordeaux, Firenze e la UD Davis in California: “Il vino è emozione, incontro fra persone e conoscenze, ha una storia millenaria. Cercherò di portare la mia esperienza in un’ottica di collaborazione e rispetto: credo che un grande vino sia espressione di più professionalità e competenze che sappiano valorizzare il potenziale che le tre componenti ambientali - varietale, suolo e clima - più quella culturale del genius loci possono esprimere”.

Tanti e importanti i dettagli che influiscono sul risultato complessivo di ogni annata che entra in bottiglia, botti e tini soprattutto negli ultimi anni. “Il climate change esiste - e la drammatica cronaca degli ultimi giorni lo dimostra fin troppo ampiamente - Quello che avevi appurato dieci anni fa sulla vigna, che consoci potrebbe non funzionare più. Bisogna comprendere queste situazioni, essere aperti al confronto con chi per esempio in Napa Valley e in California ci è passato, dove con siccità e roghi si convive da sempre. Ciò non significa resettare ogni anno, ma ogni cinque/dieci con il cambiamento climatico butti via il libro che avevi e lo riscrivi, facendo tesoro di quanto letto”. Non basta leggere e annotare, serve provare ad anticipare con l’intelligenza e l’arguzia maturata nell’esperienza. Una necessità che si fa forte quando ci si appresta a nuovi impianti, come nel caso per Ruffino dei nuovi vigneti a Montalcino: “Quando pianti poi aspetti tre/quattro anni perché le piante vadano in produzione, poi lì (per disciplinare, ndr) altri quattro di invecchiamento del vino. Quindi dopo otto anni sei sul marcato, ma devi sapere, o provare nel migliore dei modi a prevedere, come sarà il clima fra otto/dieci anni. Non basta mica leggere quello che succede adesso”. Un’impresa ardua che fa i conti con il futuro non intellegibile, ma necessaria quando si decide orientamento e sesto di impianto per un nuovo vigneto.
Storia lunga più di un secolo per un’azienda che ha segnato la storia del Chianti Classico, che ha visto i cambiamenti del mercato, le innovazioni tecnologiche e il cambiamento climatico, nonché l’attenzione per il rispetto dell’ambiente. “Forse è banale, ma per noi la qualità non è solo quella del prodotto - sintetizza Sartor - È importante, ma quella imprescindibile è sul rispetto del territorio, la qualità della vita delle nostre persone e di chi vive adiacente ai vigneti, la qualità di vita dei consumatori. Essere un’azienda sostenibile significa essere rispettosi del prodotto, dei dipendenti e stakeholders. Non solo del tuo piccolo pezzo di prodotto, ma di tutta la supply chian che è parte integrante della qualità”. Una conspevolezza matura in Ruffino, tanto da aver dato vita alle ‘Ruffino cares’ che non vede coinvolto solo il prodotto ma è un ombrello figurativo per l’azienda in tutto quello che è la sua attenzione alla sostenibilità e al sociale. “Siamo agricoltori e l’attenzione ambientale deve essere fondamentale. Siamo in conversione biologica su tutti i vigneti, sarà completata entro il 2025.

La risorsa più complessa negli anni futuri sarà l’acqua: dobbiamo fare di più con meno, fare meglio usandone meno sia in irrigazione che produzione - tuona il presidente -Abbiamo fatto dei laghi in cui si raccoglie acqua piovana destinata ai sistemi di irrigazione smart capaci di differenziale per zone e tasso di umidità nei vigneti, senza irrigare a pioggia. Anche in stabilimento abbiamo impianti di recupero e fitodepurazione delle acque, che non sono potabili ma con parametri corretti per essere riutilizzata”. Non si ferma solo alla risorsa idrica l’attenzione all’impatto ambientale, ma prosegue con determinazione in tutto il ciclo di coltivazione e produzione. “Possiamo recuperare risorse, ed è importante che vengano convogliate, vendute, cedute, a chi può metterle a frutto. Recuperiamo circa il 97% del nostro smaltimento, diventa input di altri processi produttivi per chi ne fa uso economicamente più valorizzato. È doveroso anche fare la riflessione di quanta CO2 si immette in atmosfera e chiedersi quanto valga essere biologici ma non sostenibili. Per questo abbiamo iniziato ad acquistare mezzi agricoli elettrici da usare prevalentemente in Veneto, dove servono molto trattamenti”.