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Se l'uomo è soltanto ciò che pensa di mangiare

Se l'uomo è soltanto ciò che pensa di mangiare
Rileggendo Feuerbach e la filosofia del nutrimento: bisognerebbe rivalutare gli scritti di Artusi per capire che gli aspetti nutrizionali intrinseci agli alimenti sono legati in modo indissolubile al piacere gustativo della pietanza 
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Ludwig Andreas Feuerbach è un filosofo tedesco positivista che ha scritto libri di grande incisività culturale. Ad esempio, sosteneva che era stato l’uomo a creare Dio per rispondere alla sua ansia di esistenza con una figura sovrannaturale, e non Dio a creare gli esseri umani. Temi così importanti sono stati però oscurati, si crede con suo rammarico, dall’affermazione del tutto congrua con l’esplosione della nuova realtà associata alla Rivoluzione industriale, e a un’impostazione positivista dell’influenza dell’uomo sulla natura e sul suo destino personale. La frase recita in tedesco” Der Mensch ist, was er isst”.

Ludwig Andreas Feuerbach
Ludwig Andreas Feuerbach 

È breve, lapidaria, sintetica, di grande comunicazione. Al giorno d’oggi solo dei grandi copy come è stato Armando Testa avrebbero potuto sintetizzare con tanta efficienza un concetto così complesso. Al tempo di Feuerbach i copy non esistevano, ma sembra che per essere un grande copywriter si debba essere anche filosofo. La frase, felicissima, ruota come un calembour grammatico fra “ist” terza persona del verbo essere in tedesco e “isst” (con due s) che è la terza persona dell’indicativo di “essen”, mangiare.Sotto il profilo tecnico “isst” è un’apofonia debole e Feuerbach, uomo di grande cultura, ha sfruttato questa alchimia fonetica per comporre il suo enunciato. Nello scrivere dei rapporti fra il cibo, l’uomo e la sua cultura, Feuerbach ebbe come mentore un affascinante figura di scienziato, Jakob Moleschott. Queso fisiologo ebbe grande influenza in Europa e fu chiamato da Cavour stesso a insegnare nell’Università italiana, dove fu subito osteggiato e ostracizzato, per finire poi Senatore del Regno con una tecnica diciamo andreottiana, del promoveatur, ut amoveatur (promuovetelo purché si levi di mezzo).

 

Jakob Moleschott analizzò, da grande fisiologo qual era, i cibi e il loro influsso sulla salute e sul benessere nel contesto della concretezza scientifica e positivista congrua con la sua formazione. Però vi è una dimensione culturale del cibo che supera le sue strette caratteristiche organolettiche.

Il rumore delle patatine chips amplifica il piacere del mangiarle
Il rumore delle patatine chips amplifica il piacere del mangiarle 

Qualche esempio per capire quanto sto dicendo: se le patatine, di quelle che non si riesce a fermarsi quando si apre un pacchetto, non facessero crack quando le mastichiamo non ci darebbero la stessa soddisfazione. Se addentiamo una mela e stacchiamo un bel morso di polpa, ci nasce spontaneo un sorriso, come soddisfazione della nostra abilità nel riuscire ancora a nutrirci senza strumenti se non quelli che la natura ci ha dato. E se dobbiamo mangiare un panino non lo facciamo al centro di una piazza ma ci avviciniamo a un muro o a un angolo perché abbiamo bisogno di protezione nel momento in cui ci distraiamo per nutrirci. Questi tre esempi ci dicono che la madeleine di Proust, quella particolare minestra che cucinava nostra nonna, il prodotto artigianale, l’immagine che un cibo ci offre, sono veicoli emotivi e culturali che dominano l’aspetto intrinseco di un nutrimento. Se i primi tre esempi non vi hanno convinto, possiamo riflettere che se il caviale costasse pochi euro al chilo dopo un paio di scorpacciate verrebbe dimenticato e se i tartufi venissero venduti ai prezzi delle mele con ogni probabilità nessuno ne porterebbe a casa dei chili data la loro capacità di liberare sostanze olfattive intense e gradite in minima quantità, ma eccessive quando permeano tutto l’ambiente. Non sono mai riuscito a trovare, e quindi non so se è veridico, la norma del Regio regolamento ferroviario in cui se un passeggero viaggiava con dei tartufi e anche una sola persona nello scompartimento non ne gradiva l’odore era il controllore stesso a chiedere che il fortunato possessore e i tartufi traslocassero ad altro posto in vettura. Fra le sostanze che il Tuber magnatum pico libera, una delle più caratteristiche è il metilbutano, la sostanza che viene aggiunta al gas delle nostre cucine per renderlo odorabile e avvisare se vi è una fuga. Feuerbach nasce nel 1804 e Pellegrino Artusi nel 1820. Come il grande filosofo anche il simpatico romagnolo ebbe un suo mentore scientifico in Paolo Mantegazza, fisiologo, patologo, igienista ed esplosivo pensatore che a metà Ottocento difendeva la necessità di un’educazione sessuale nelle scuole. Nel 2022 nessun preside o professore oserebbe difendere questa necessità a meno che non coltivasse un sincero desiderio di essere lapidato o crocifisso. Faccio questi appunti per riflettere sull’esplosiva esuberanza intellettuale e vivacità di pensiero che contraddistinsero quegli anni e per ricordare che l’Artusi, così come viene chiamato il suo manuale di cucina, ha come titolo del suo libro La Scienza in cucina e qui si torna a Feuerbach, ma unito al più piacevole sottotitolo e l’arte del mangiar bene.

La copertina della prima edizione del libro di Artusi
La copertina della prima edizione del libro di Artusi 

Il tragico periodo pandemico ha impedito di celebrare questo straordinario testo di cucina in cui grazia letteraria, competenza culinaria, palpabile simpatia dell’autore, minuziosa ma anche lungimirante descrizione delle ricette, e così il duecentesimo anniversario della sua nascita è passato sotto silenzio. Ma il suo libro, che all’inizio diversi editori rifiutarono, fu stampato con volitiva caparbietà romagnola dall’autore stesso e si dice ne siano state vendute un milione e mezzo di copie, cosa che lo rende il principale libro di cucina mai stampato al mondo. Poi basta un virus e tutto passa sotto silenzio. Eppure, è sufficiente sfogliare qualche pagina per vedere come gli aspetti nutrizionali intrinseci alle caratteristiche organolettiche degli alimenti sono legati in modo indissolubile al piacere gustativo finalizzati a rendere la pietanza la più godibile possibile. Per chi di professione o per piacere fa l’assaggiatore vi è una sequenza obbligatoria di analisi di un cibo che passa dal suo esame ispettivo, tattile, odoroso, e gustativo. La stessa sequenza che l’uomo primitivo utilizzava nell’avvicinarsi a un possibile alimento per valutarne: edibilità, palatabilità e l’assenza di pericoli nel consumarlo.

 

Nei manuali di sopravvivenza per i soldati statunitensi è la sequenza che viene raccomandata per truppe disperse che debbano contare su quanto possono trovare per alimentarsi fino a essere rintracciati e tornare alle scrambled eggs e al bacon del breakfast abituale dei militari. Anche in questa semplice alimentazione gli aspetti cromatici, il giallo di tuorlo, odorosi, la volatilizzazione dei grassi nella frittura del bacon, la complementarità dei grassi disciolti per rendere più gustoso il contenuto proteico dell’uovo sono aspetti che ci dicono che oltre a fornire energia per una giornata sul campo, anche gli occhi, il cuore, i sentimenti, hanno un peso pure per chi, poco dopo deve imbracciare un’arma e forse andare incontro al suo destino. Nella strabordante invasione di temi legati alla cucina, dal web più umile a Masterchef, quello che viene utilizzato come un canale comunicativo, non è la caratteristica intrinseca organolettica del cibo, ma quello culturale, conviviale e sociale. Quindi, con il rispetto che dobbiamo a questi filosofi, pensatori e scrittori, dobbiamo leggere la frase di Feuerbach nel suo contesto storico e capire che l’uomo non è ciò che mangia, come lui affermò; ma ciò che pensa di mangiare.