Alla fine è tutto un “magna-magna”. Lo diceva Johnny Stecchino ma era una battuta abbastanza diffusa dei comici di fine Anni ’90. Il “magna-magna” è l’incubo di questo Paese: tra corruzione e soldi sprecati spariscono fiumi di denaro.
Ma il “magna-magna” italiano, quello vero che si fa a tavola, è tutta un’altra cosa: è un motore del Paese come la moda e altri settori capaci, da anni, di trainare il Made in Italy. Eppure quel concetto di “magna-magna” il mondo del cibo se lo porta addosso come un marchio e soprattutto quelli che preparano il cibo ne vengono un po’ travolti.

La politica - di ogni colore - ha promesso di trattare la cucina come fonte di produzione culturale, di considerarla un’arte italiana. Ma non accade. Il ministro del Turismo Garavaglia ha messo in atto per primo un piano del turismo enogastronomico, un’operazione necessaria e coraggiosa. Un primo passo che inevitabilmente considera tutti i produttori di cibo sullo stesso piano senza valorizzare le eccellenze. Ostaggio dei Consorzi e delle associazioni di categoria il cibo italiano affida a qualche guida o a qualche organizzazione il compito di identificare le eccellenze spesso secondo parametri che nulla hanno a che fare con la Cultura e così il marmista e Michelangelo finiscono nella stessa casella. Un errore che rischiamo di pagare.

Chi produce cultura del cibo, chi usa la mente, l’anima e il cuore per raccontare un cambiamento e una trasformazione del Paese, va tutelato e difeso come avviene con gli artisti. La cucina italiana non ha bisogno di tutele Unesco se l’Italia come istituzione è la prima a non tutelarla. Non possiamo chiedere un’istituzione sovranazionale di fare quello che il Paese proponente non ha la forza o il coraggio di fare.
Serve un’azione concreta da parte del governo per difendere i cuochi che tengono accesa la luce di un mondo dove tra crisi del personale e delle materie prime si rischia un tracollo, o peggio, una svolta verso una sostenibilità economica talmente estrema da divorare la qualità. Lasciare soli i cuochi e considerarli solo produttori di “magna-magna” vuol dire mettere a rischio un pezzo di Made in Italy, forse quello più amato del pianeta.