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Viaggio tra i ristoranti dell'Espresso: Lido 84, Faro di Capo d'Orso e la Capanna di Eraclio

Viaggio tra i ristoranti dell'Espresso: Lido 84, Faro di Capo d'Orso e la Capanna di Eraclio
Una rubrica in attesa della prossima edizione della Guida, per conoscere da vicino i migliori ristoranti d'Italia 
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Quello della Guida ai Ristoranti e i Vini d’Italia de L’Espresso è un patrimonio di suggerimenti di gusto frutto del lavoro di tanti colleghi impegnati a esplorare l’Italia nelle sue migliori espressioni enogastronomiche. La Guida è così giunta a una particolare quarantaduesima edizione condizionata da un periodo difficile, come ha sottolineato il direttore Enzo Vizzari nella sua introduzione intitolata Il buono non si ferma: “Non abbiamo regalato nulla a nessuno, ma come sempre abbiamo semplicemente cercato di essere obiettivi, di valutare i ristoranti guardando nel piatto nonostante le bombe fuori dalla finestra. Diceva Calvino: leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto. E noi abbiamo provato a planare nell’attesa del ritorno al volo vero, con le dita incrociate come al primo decollo dei fratelli Wright”. Sono circa 2000 i ristoranti e trattorie recensiti: tre di questi, selezionati nell’ambito di ogni categoria sulla base di una loro peculiarità, vi verranno proposti ogni settimana a iniziare da oggi, per continuare ad accompagnarvi a scoprire il meglio del nostro paese in attesa della stesura della prossima edizione alla quale stiamo tutti lavorando alacremente.
 
Cominciamo in Lombardia, lungo la ricca (anche in termini gastronomici) sponda bresciana del lago di Garda con Lido 84 a Gardone Riviera e il suo cuoco dal sorriso timido che da tempi non sospetti hanno per noi il massimo della valutazione con i 5 cappelli. A conferma del valore di questo ristorante è il recente impressionante balzo nella classifica internazionale della World’s 50 Best Restaurants dove si è posizionato al 15° posto, guadagnando così 63 posizioni rispetto all’anno precedente. Dalla scheda in guida leggiamo: “Riccardo Camanini sta da anni sul filo dell’acqua, non solo letteralmente avendo i piedi e la sala quasi dentro il lago di Garda, ma soprattutto sul piano dell’attenzione riservatagli da professionisti e appassionati del settore. Un’attenzione che lui non ha mai cercato e tutt’ora fatica sinceramente a comprendere, troppo umile per non sorprendersi di fronte all’ammirazione di quelli che lui considera (a ragione) i maestri della cucina mondiale. Eppure se gente del calibro di Alain Ducasse o Gaggan Anand lo ritiene uno dei cuochi più influenti e geniali di questa generazione, la ragione va ricercata proprio nell’approccio quasi monacale votato da Riccardo al suo lavoro.

Riccardo Camanini ritratto da Andrea Moretti
Riccardo Camanini ritratto da Andrea Moretti 
Il Lido 84 è la casa sua e del fratello Giancarlo, ma anche un’«isola che non c’è» abitata da una torma di ragazzi giovanissimi avidi di imparare e incoraggiati a condividere ogni dubbio o pensiero. Il risultato è un insieme del tutto sui generis in cui il servizio diventa quasi l’apertura temporanea di uno spazio intimo normalmente dedicato allo chef e alla sua brigata, con i cuochi che escono a raccontare i piatti senza riuscire a nascondere l’entusiasmo per come li hanno realizzati. E la cucina è così ricca di capacità, idee e cultura che solo l’assoluta e immediata efficacia di ogni boccone impedisce di esagerare negli svolazzi cerebrali che si innescano all’assaggio di bocconi come la seppia tagliata a ‘sticky rice’ e nappata con burro affumicato di anguilla e crema di topinambur, o come la “costata alla brace in brodo”, rilettura fulminante e blasfema della bistecca alla griglia. I classici come la “cacio e pepe in vescica” o lo “spaghetto burro e lievito” resistono in carta (o raccolti in un menu da 85 euro) e a sentirli si direbbe che esistono da sempre benché il locale sia aperto solo dal 2014, ma il consiglio è di non porre freni alla cucina e scegliere il menu “Oscillazioni” (95 euro), per provare oggi quelli che certo saranno i classici di domani. Buona la cantina, in continua crescita".

  
A Codigoro, in Emilia Romagna nel ferrarese, ecco un locale storico che ogni appassionato di grande tradizione, semplicità e materie prime territoriali tradotte con sapienza dovrebbe visitare almeno una volta. Si tratta de La Capanna di Eraclio, un cappello, che in guida è descritta così: “Nella campagna a ridosso del Delta del Po, in un edificio spartano, si nasconde un piccolo tempio del pescato (ma ci sono anche alcune proposte di terra) a conduzione familiare. La materia prima ittica viene declinata dalla mano sicura della cuoca Maria Grazia Soncini, in preparazioni semplici e schiette (ne sono esempio la frittura leggera e asciutta dei pesci minuti o delle ‘moeche’, croccanti all’esterno e morbide dentro) che la valorizzano appieno, tenendo d’occhio la tradizione e puntando direttamente al gusto. Sempre impeccabile l’anguilla ‘arost in umad’, ben sgrassata dopo la scottatura sulle braci e il passaggio in forno, eppur succulenta, che viene servita su polenta bianca. Dolci appaganti e ghiotti. Servizio ospitale e puntuale, cantina fornita. Conto sui 75 euro.”
 

 Anguilla arost in umad - Maria Grazia Soncini
 Anguilla arost in umad - Maria Grazia Soncini 

  
Troviamo il terzo locale in Costiera Amalfitana, un tratto di costa campana dalla bellezza leggendaria con molti ristoranti che regalano viste uniche a picco sul mare. Uno di questi, con la valutazione di tre cappelli, è il Faro di Capo d’Orso che, rispetto a una matrice tendenzialmente tradizionale della cucina, offre con Francesco Sodano una proposta gastronomica fuori dagli schemi abituali della zona. Ecco come viene descritto: “C’è un bimbo, oggi trentenne, che guardando le uova montate ‘a nastro’ dalla mamma intuisce che cucinare è più che far da mangiare. Decide di essere cuoco e viene sullo scoglio più panoramico della Costiera amalfitana a imparare il mestiere. Inquieto e curioso com’è, usa l’alfabeto della grande cucina classica, italiana e francese, che qui si è sempre fatta per apprendere le altre lingue del mondo. Sud America, Spagna, Oriente, Nord Europa sono le tappe di un percorso umano e professionale che lo porteranno a costruire una propria identità.
Così Francesco Sodano torna nelle cucine del Faro che lo avevano visto apprendista e, sotto l’occhio vigile del patron Pio Ferrara, innova senza tradire lo spirito delle origini, costruendo una proposta che oggi esprime una delle punte più avanzate della ricerca gastronomica in Campania. La metafora di questo percorso è il “Granchio tra Varanasi e Hong Kong”, nel quale il curry giallo riporta nel più famoso mercato delle spezie indiano, e la salsa ‘xo’ richiama la nobile tradizione cinese. Lungo l’asse Campania-Francia si sviluppa la ricciola, fegato grasso d’oca, limone affumicato e capperi. Si torna sul mare di Amalfi con le eliche, conserva di peperoni arrosto, salumi e ‘quinto quarto’ di totano. Il piccione frollato nella cera per 120 giorni è un piccolo capolavoro di tecnica. Servizio di gran classe e cantina delle meraviglie. Si sceglie tra quattro degustazioni, da 70 a 140 euro. Il panorama è gratis.”