I valtellinesi di una volta stenterebbero a riconoscerlo come figlio delle loro montagne. E’ un Nebbiolo elegante, rotondo, corposo. Molto distante dai toni acuti e aspri che riflettono la fatica millenaria con cui l’uomo ha strappato terra alle alpi retiche per poter coltivare e vivere laddove l’agricoltura, altrimenti, non avrebbe potuto esistere. Anche questa bottiglia di Valgella - sottozona del Valtellina Superiore Docg – è un piccolo miracolo di resistenza, così come il suo vigneto che solo pochi anni fa rischiava di scomparire: è uno dei tanti protetti dai caratteristici muretti a secco che, oggi, corrono a terrazze sovrapposte per oltre 2500 km tra i versanti scoscesi di Valtellina e Valchiavenna, creando una visione unica al mondo.
“Tutto è iniziato nel 2007, un anno difficile in cui si verificò un esubero di produzione di 50 ettari, tutti condotti da piccoli vignaioli in un territorio iperparcellizzato come il nostro” racconta Aldo Rainoldi, oggi titolare di una delle cantine che raccolgono e lavorano quelle microproduzioni. “Viticoltori che potremmo definire hobbisti, ma che in realtà tengono viva la tradizione delle vigne di ogni famiglia”. Ancor oggi un patrimonio identitario della cultura rurale della provincia di Sondrio. A fronte di quell’esubero di produzione, “molti di loro rischiavano di non farcela e, di conseguenza, avrebbero abbandonato i vigneti. Così è nata l’idea di proporre ai ristoratori di adottare un viticoltore, e con lui un vigneto. Ne è nata una produzione esclusiva: di fatto, legando ogni cucina a un cru di montagna”.
Tra i ristoranti che hanno aderito ci sono mete qualificate del turismo invernale: Sunny Valley di Santa Caterina Valfurva, Mottolino Fun Mountain e Marcu’s pub, entrambi di Livigno, e la Trela di Verceia: per Mario Saligari, cuoco-proprietario di quest'ultimo, la decisione di “adottare un vigneto” è stata più che naturale “perché territorio, memoria e sapori qui non sono una linea di cucina, ma un principio etico e di vita” ripete come un mantra davanti a un giovanissimo battaglione di cuochi. “Ho lasciato la carriera all'istituto alberghiero per dedicare la mia cucina a un territorio che chiedeva di fare sistema. Continuo, comunque, a insegnare ai ragazzi che vogliono venire qui e sanno rigare diritto. Il progetto? Ho risposto subito di sì, e il risultato è in questa bottiglia, che è unica: un Valgella ottimizzato su misura per le proposte del ristorante, dal risotto al Nebbiolo alle specialità fatte con il grano saraceno come il “tortin” di Grosotto, preparato con la pastella di farina e il formaggio, i pizzoccheri o gli sciatt. Piatti intensi che chiamano un vino robusto ma, allo stesso tempo, stimolante e nettamente decifrabile. Possiamo definirlo
Uno dei vignaioli, Andrea Branchi, non solo ha potuto preservare la vigna ma, col tempo, la sua famiglia è riuscita a dare una svolta di professionismo all’attività. “Non c’erano alternative, se non arrendersi e smettere. Invece grazie alla sinergia con i ristoranti siamo sopravvissuti e, negli anni successivi, abbiamo quadruplicato l’ettarato del vigneto, dai 7000 metri quadri – ben meno di un ettaro - ai tre ettari di oggi. Così quella che per mio padre era pura passione, oggi è divenuta attività d’impresa per tutti noi”.
Numeri che oggi disegnano la realtà di una di viticoltura radicata e visionaria, fatta di vigne in quota – in Valtellina non si scende sotto i 300 metri di altitudine ma si superano gli 800 – e vendemmie eroiche un tempo affidate al travaglio della gente di montagna e oggi diversamente suggestive, tra il fragore delle pale d’elicottero che tuona a poca distanza dalle rocce mentre carica le uve e le porta a valle. Una variazione del moto perpetuo di queste terre, le Alpi di un vino antico e resistente, in accelerazione risoluta e continua verso il domani.