Nel paese degli chef star, il futuro dei ristoranti è in realtà nelle loro mani. Nelle mani delle donne e degli uomini che tutti i giorni, nelle sale dei locali eleganti come delle trattorie, accolgono i clienti, consigliano, spiegano, risolvono problemi. Sono loro, sono i maitre, i sommelier, i camerieri, troppo spesso dimenticati da chi scrive critiche e storie della ristorazione. O liquidati con una frase fatta “servizio all’altezza” o giù di lì.
La mia scuola è stata la famiglia
“Sì, è vero il lavoro di chi sta in sala avrebbe bisogno di essere più valorizzato. Si parla tanto di cucina, e va bene, ma troppo poco di noi. Così le scuole alberghiere sono piene di aspiranti cuochi e nessuno vuole più fare il cameriere: un lavoro che costa fatica, certo, ma dà anche grandi soddisfazioni, fatto di relazioni umane molto ricche.Che non si può imparare solo a scuola. Perché non siamo solo i portapiatti, siamo psicologi, factotum, dobbiamo conoscere e saper raccontare i piatti e i vini” A rivendicare con orgoglio il valore del proprio mestiere è Daniela Piscini, “maitre dell’anno” per la Guida dell’Espresso. La sala che dirige è quella del ristorante di famiglia, Miramonti l’Altro, a Concesio nel Bresciano, uno dei templi della tradizione in Italia.
“La mia scuola è stata la famiglia – racconta Daniela Piscini –e i miei punti di riferimento sono stati prima mio papà, poi mio fratello. Quando ho iniziato, 30 anni fa, il fatto che fossi una donna rendeva un po’ più complicato far questo lavoro, perché quello della ristorazione era un mondo molto maschile. Per molto tempo sono stata la figlia dì, poi la sorella e la moglie di. Adesso non è più così, e il premio dell’Espresso lo dimostra”. Il segreto del lavoro di sala? “Far sentire il cliente accolto, sia che si parli di una trattoria o di un ristorante gastronomico. Un’idea che si può poi declinare secondo i contesti. Ma i tecnicismi non mi piacciono, mi comporto con i clienti come mi piacerebbe essere trattata se al tavolo fossi seduta io; niente eccessi nel raccontare i piatti, e attenzione invece alla psicologia del cliente, per farlo stare bene nelle ore che passa da me”.uno dei templi della tradizione in Italia.
Un'informalità che non lascia nulla al caso
Principi che ritornano anche nelle parole di Sara Repetto, un’altra donna, che dirige la sala di quello che è, per ciò che riguarda il servizio, il ristorante più innovativo e divertente d’Italia. Condividere, a Torino. Premiato “collettivamente” dall’Espresso quest’anno per il miglior servizio di sala. Della squadra premiata con Sara, che a soli 30 anni vanta un curriculum da favola (tre anni al Cambio di Torino poi sei al Combal Zero di Rivoli, stage da Berasategui e Azurmendi in Spagna e a New York) fanno parte Stefano Quero, sommelier, Elena Pizzi, Manuel De Castro, Andrea De Iacovo e Iacopo Bernardini: tutti giovani, determinati e simpatici.
Un squadra che, seguendo la lezione di Tickets, il bistrot barcellonese dei fratelli Adrià che sono stati anche deus ex machina di Condividere, nel ristorante ospitato dalla Nuvola Lavazza ha portato una piccola rivoluzione. “Il servizio di Condividere fa parte a 360 gradi dell’idea che ha fatto nascere il locale, quella della condivisione appunto. I nostri ragazzi non vendono solo piatti, ma la filosofia del ristorante”. spiega lo chef Federico Zanasi. “E’ così. E credo che la caratteristica che più ci distingue sia la spontaneità - aggiunge Repetto – abbiamo sempre cercato di essere noi stessi, di valorizzare le caratteristiche di ciascuno di noi. Quando arriviamo al tavolo, ci presentiamo, per nome, per accorciare la distanza con il cliente. E poi siamo davvero una squadra perché passiamo tantissimo tempo insieme e se stiamo bene noi, anche il cliente sta bene. E soprattutto così è più facile sorridere, la regola numero uno di questo mestiere”. Un’informalità che non lascia nulla al caso, però Perché quella di Condividere è una squadra che gioca alla olandese: i ruoli ci sono, ma tutti sanno e possono fare tutto. E la precisione e l’attenzione sono al livello dei grandi ristoranti classici.
Sara Repetto conclude: “Essere donna alla fine non mi ha penalizzato. Certo è successo che qualche cliente mi dicesse: “Può chiamarmi il direttore?” e si stupisse quando gli rispondevo “Sono qua”. O che qualche ragazzo alla prime armi come cameriere non prendesse bene le istruzioni che gli davo. Ma sono particolari. In realtà non ho mai avuto problemi sia nel mio percorso di formazione che poi ad ottenere i ruoli cui ambivo. Oggi in sala per fortuna, anche in Italia le donne sono tante”.