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A spasso per l'Europa (a bere una birra di 2500 anni fa)

C'è una data remota che segna le prime tracce di una birra in Italia: è quella del 560 avanti Cristo, un tempo lontano che precede, addirittura, le invasioni galliche e che riporta direttamente alle civiltà protoceltiche che abitavano l’area di Golasecca: la scoperta avvenne nel 1995 a Pombia, durante gli scavi in una necropoli

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Le successive, meticolose indagini accertarono che le tracce contenute in un recipiente erano quelle di un’antica birra che aveva attraversato tempi e culture, giungendo sino ad oggi.

La storia della birra è un’epopea che percorre il mondo dai tempi più remoti. Una storia, come tutte, costellata di date: nel 724, ad esempio, si rintraccia la più antica birreria monastica, a Weihehstephan, nei pressi di Monaco; nel 1516, ancora in Baviera venne promulgato il Reinheitsgebot, l’editto sulla purezza. Per legge venne stabilito che la birra poteva essere prodotta solamente con malto d’orzo, acqua e luppolo: una sorta di disciplinare ante-litteram che metteva ordine nel mare-magnum delle tecnologie produttive (e degli ingredienti) utilizzati al tempo.

E’ accertato che l’antica Europa consumasse birra almeno nel VII secolo a.C, e forse molto prima, dato che questa bevanda-alimento aveva già conquistato la globalità del mondo antico già da millenni, percorrendo un percorso parallelo a quello della cerealicoltura da cui trae le materie prime. Le prime tracce si rintracciano, quindi, già nel 7000 a.C. in Iran e nel 5000 a.C. nel cuore mezzaluna fertile: 500 anni più tardi, una tavoletta assira cita e disciplina il mestiere di birraio, quindi la tecnica raggiunge la civiltà egizia e il Mediterraneo, radicandosi alle latitudini allora più lontane, nel cuore delle culture celtiche europee, superando le conquiste di un impero Romano che, ovunque, portava con sé il mito della coltivazione della vite e della produzione di vino. Lo spartiacque vero e proprio si avrà nei primi secoli del Medioevo, conseguenti alla disfatta di Roma: da un lato la cultura mediterranea e latino-cristiana, che resta ancorata al consumo di vino, dall’altra quella di un’Europa medievale dove il consumo di birra prenderà continuo e crescente vigore: da ricordare che la birra medievale (o cervogia) era più densa dell’attuale, un vero e proprio “pane liquido” che aveva tutte le caratteristiche di un alimento prima ancora che di una bevanda.

Le innovazioni e le trasformazioni che subisce la produzione della birra sono moltissime: a titolo d’esempio valga citare che prima della fine del XVIII secolo, il malto veniva essiccato principalmente su fiamme provenienti dal legno, dalla carbonella o dalla paglia, mentre, con l’avvento del 1600, dal carbone coke.

Ma torniamo, due millenni e mezzo dopo, in nell'areale altopadano di Pombia e del Lago Maggiore, sulle vie dei valichi montani. Proprio quelle Alpi dove si radica quella cultura walser che, poco lontano dal confine, sarà alla base della nascita di una delle dinastie birrarie che tuttora dominano il vecchio continente, quella dei Beck-Peccoz, i cui antenati emigrarono da Gressoney in Baviera nel XVIII secolo.

Tuttavia, per il Lago Maggiore, la (ri)scoperta della birra o, quantomeno, il suo successo, è storia piuttosto recente. Va premesso che il territorio è a baricentro fra due terre dove la produzione di birra ha scritto (e scrive) pagine di storia importanti. La prima biellese, ad esempio, dove grazie a un’altra famiglia walser (i Welf di Gressoney), viene fondato nel 1846 un birrificio destinato ad avere un successo crescente, soprattutto quando verrà rilevato, pochi anni più tardi, dal valdostano Jean Joseph Menabrea.

La seconda terra è il Varesotto, in particolare la Valganna dove, sempre nella seconda metà del XIX secolo, un ex manovale emigrato alle dipendenze delle ferrovie imperial-regie austroungariche fonda un birrificio, peraltro con un grosso deposito a Novara: quel signore, nativo di Vedano Olona, si chiamava Angelo Poretti: è il 26 dicembre 1877 Poretti produce la prima birra, una lager bionda di stile Pilsner.

Ma anche il Vco ebbe tradizioni storiche di rilievo: in Bassa Ossola erano ancora attivi nel Novecento due birrifici che esportavano nella vicina Svizzera. E a Verbania tutti ricordano l’epopea del Birrificio Sant’Anna di Verbania, sorto sulle vestigia di un ex convento francescano. Qui, nei primi anni del Novecento Giovanni ed Efrem Beretta, proprietari della Birreria nazionale Locarno, fondarono la Birreria Nazionale S.A. che, in seguito, divenne Birra Pallanza e poi Birra Sempione, marchio divenuto storico.

Ben presto, tutta la produzione del gruppo di concentrò a Verbania, dove  il 4 Ottobre 1921  nacque la “Società per azioni Birra Sempione”. produzione crebbe fino a superare i 20 mila ettolitri l’anno già nel 1956, e poi ancora fino alla chiusura nel 1974. Lo stabile, abbandonato, è tuttora visibile in città.

La storia recente ha visto crescere un gran numero di microbirrifici nelle tre aree del Verbano Cusio Ossola, che stanno vivendo un autentico boom come, del resto, avviene anche nel resto d’Italia: a livello nazionale, queste strutture produttive sono più che quadruplicate nell'ultimo decennio con un aumento del 330%, passando da poco più di 200 a oltre 860, con una produzione annuale stimata in 55 milioni di litri.

E’ poi in grande espansione un po’ in tutta Italia la diffusione dei cosiddetti “birrifici agricoli” che sviluppano una produzione a ciclo chiuso, partendo cioè dalla coltivazione in campo delle proprie materie prime: a fare da contrappunto è la ricerca di varietà particolari con numerosi esempi di innovazione, dalla birra aromatizzata alla canapa a quella al carciofo di colore giallo paglierino ma c’è anche quella alle visciole, al radicchio rosso tardivo Igp o al riso fino all’agri-birra che nasce utilizzando lo scarto del pane e che cambia e modifica sapore, colore e consistenza a seconda del tipo di pane che l’azienda riesce a raccogliere dai residui di vendita.