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Effetto lockdown: abbiamo prodotto un milione di tonnellate di rifiuti in meno

Roma, 10 aprile 2020. Una donna porta due sacchi di rifiuti durante il lockdown. Filippo Monteforte/Afp via Getty Images
Roma, 10 aprile 2020. Una donna porta due sacchi di rifiuti durante il lockdown. Filippo Monteforte/Afp via Getty Images 
La clausura del 2020 ha dato meno lavoro ai netturbini di tutta Italia. Ma non è un calo strutturale: meno consumi e  chiusure di esercizi commerciali hanno portato a un -3,6% di rifiuti urbani rispetto al 2019. Cresce la differenziata
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Nel corso del 2020 abbiamo prodotto un milione di tonnellate di rifiuti urbani in meno rispetto al 2019 e c’è stata un’ulteriore crescita della raccolta differenziata.

Clausura e restrizioni hanno contribuito a questo calo più che sensibile, che è risultato comunque inferiore al crollo fatto registrare dalla spesa delle famiglie (-11,7%). A produrre meno rifiuti hanno contribuito anche le chiusure di molte imprese. Ad aprile del 2020, secondo i dati Istat, le aziende che non hanno aperto i battenti durante la clausura sono state 2,1 milioni. Il calo della produzione industriale e dei consumi ha quindi avuto una ricaduta sulla quantità di rifiuti urbani, agevolandone anche lo smaltimento.

I dati, forniti dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nel Rapporto rifiuti urbani 2021 del dicembre 2021, mostrano un calo della produzione nazionale di rifiuti urbani pari al 3,6% rispetto al 2019. In numeri, durante il 2020 abbiamo prodotto 28,9 milioni di tonnellate di rifiuti contro i 30 milioni di tonnellate del 2019, ossia un calo di 1,1 milioni di tonnellate.

Ispra
Ispra 

Una diminuzione di rifiuti che si è verificata in tutto il Paese. Il Nord ha fatto registrare il calo più marcato (-5,4%), a seguire il Centro (-3,4%) e quindi il Sud (-2,6%).

In termini numerici, durante il 2020 ogni italiano ha prodotto in media 488 kg di rifiuti, anche in questo caso con valori che variano per zona geografica: 524 kg pro-capite al Centro, 507 al Nord e 443 chilogrammi per persona al Sud.

Il costo medio annuale pro-capite per la gestione dei rifiuti è salito di 8,8 euro per abitante (185,6 euro contro i 176,7 euro del 2019). I costi più elevati si registrano al Centro (221,8 euro annui per abitante), a seguire il Sud (195,7 euro) e quindi il Settentrione (165,6 euro). Venezia è la città in cui la gestione dei rifiuti presenta il conto più salato (376 euro annui per abitante), Campobasso quella in cui costa meno (160,5 euro).

Gli impianti di gestione dei rifiuti attivi durante il 2020 sono stati in totale 673, 359 dei quali al Nord, 120 al Centro e 194 al Sud. Questo dimostra una distribuzione perfettibile delle strutture di raccolta e smaltimento tra Centro e Mezzogiorno del Paese. Il Sud ha prodotto meno rifiuti pro-capite rispetto al Centro e, nonostante ciò, ha oltre la metà in più di impianti di gestione.

La raccolta differenziata e il riciclo

Nel corso del 2020 la raccolta della differenziata ha rappresentato il 63% della produzione nazionale di rifiuti, in crescita dell’1,8% rispetto al 2019.

Al Nord la maggiore sensibilità con il 70,8%, al Centro il 59,2% e al Sud il rapporto tra produzione di rifiuti e la percentuale di differenziata è stata di 53,6 punti.

Il 51% dei rifiuti urbani entra nei circuiti di recupero di materiali mentre in discarica va il 20% della raccolta, anche in questo caso facendo registrare una diminuzione (-7,4% rispetto al 2019) e l’incenerimento rappresenta il 18% del totale.

Gli obiettivi di riciclo fissati dall’Ue entro il 2025, ovvero il 50% della produzione totale, sono stati raggiunti in anticipo, con l’unica eccezione delle plastiche.