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Foreste e olivi millenari, gli incendi hanno distrutto la storia degli alberi italiani

Cuglieri, il professor Bacchetta ispeziona i resti dell'olivastro millenario
Cuglieri, il professor Bacchetta ispeziona i resti dell'olivastro millenario 
In Calabria, Sardegna, Sicilia e Abruzzo le fiamme hanno cancellato ecosistemi di valore inestimabile. E gli esperti avvertono: "Attenzione ai rimboschimenti, farli male può essere più dannoso che lasciar fare alla natura"
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Faggete vetuste, pineta dannunziana, olivastro millenario. I simboli della distruzione in quest’estate di fuoco dicono tutto e niente. Aiutano a evocare il lavoro secolare della natura cancellato in poche ore, ma non bastano a dare l’idea completa di una devastazione smisurata, della perdita di vita e fertilità per decenni, delle comunità devastate. I numeri aiutano, ma sono ancora parziali: nel 2021 gli incendi hanno interessato una superficie quattro volte superiore la media, passando dai quasi 29mila ettari del periodo 2008-2020 ai 110mila ettari di questo anno terribile. I roghi del 2021 si collocano, e non di poco, sopra la media dell’ultimo decennio, pur se non hanno ancora eguagliato il 2017, l’anno peggiore dall’inizio delle rilevazioni Effis, il sistema europeo di informazione sugli incendi forestali. Quattro anni fa la superficie complessivamente divorata dalle fiamme superava i 140mila ettari, al momento siamo al di sotto, ma al bilancio del 2021 mancano metà agosto e settembre e le stime sono già superiori.

I numeri aiutano, si diceva, ma restano astratti se non li si abbina alla descrizione di ciò che è scomparso soprattutto da metà luglio in poi. Partiamo dalla Sardegna, dove l’incendio divampato il 24 luglio nell’oristanese ha infierito in oltre 4 giorni su boschi di querce, lecci e oliveti millenari. L’olivastro di Sa tanca manna, a Cuglieri, sembrava perduto: la gente portava fiori sul posto, come a un parente. Anche ieri il professor Gianluigi Bacchetta, botanico dell’Università di Cagliari, era al capezzale del grande albero, a curarlo come un figlio: «Abbiamo fatto tutto il possibile per mettere in sicurezza quel che resta della chioma e proteggere le radici, c’è una copertura dal sole e lo teniamo sempre umido. Ci sono i turni per controllare che nessuno si avvicini. Ora bisogna aspettare e sperare che a settembre ci siano dei polloni». La stessa cura riservata al “Patriarca” «è stata assicurata ai tanti oliveti secolari della zona e a quelli di nuovo innesto - sottolinea Bacchetta - senza provvedimenti economici specifici, ma con la disponibilità di tante aziende e delle persone più disparate, che arrivano da tutta la Sardegna». 

Mentre nell’isola ancora si cercava di spegnere i focolai e disinnescare nuovi roghi in Barbagia, i “pini scagliosi e irti” cantati da Gabriele D’Annunzio andavano a fuoco a Pescara. L’incendio ha carbonizzato la Riserva naturale dannunziana, 12 ettari della storica pineta, l’ultimo relitto di foresta italiana esistente tra la pineta del Gargano e quella di Ravenna è andato irrimediabilmente perduto.

E l’elenco continua, con un danno che sembra una beffa: a fine luglio la Calabria festeggiava l’ingresso delle sue foreste vetuste nell’elenco dei siti riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Ora il Parco dell’Aspromonte lotta per proteggerle dal fuoco, che divampa da giorni nella zona e che ha già bruciato uno dei boschi di pino calabro più importante e storico del Parco, quello di Acatti. Se anche le faggete saranno salve, nel  parco dell’Aspromonte sono perduti la biodiversità della Valle Infernale, dello Zomaro e i boschi di Roccaforte. Un altro parco, in Sicilia, vede scomparire ettari ed ettari di preziosa macchia mediterranea, un ecosistema che gli studiosi definiscono un crocevia, perché vi convivono le piante di tre continenti, tipiche del centro e del nord Europa, dell'Asia e del nord Africa, oltre a quelle delle nostre coste. Il fuoco ha assediato le Petralie, i due borghi dallo stesso nome che sono un gioiello del Parco delle Madonie, e non ha risparmiato neanche i Nebrodi, dove crescono orchidee endemiche rare. E che sarà degli animali che tra tutte le piante di Sardegna, Sicilia, Calabria e tutte le altre regioni toccate dal fuoco, trovavano cibo e riparo: se sono sfuggiti al fuoco si ritrovano senza un riparo, come tante, troppe persone sfollate.

E mentre ancora i roghi divampano bisogna pensare al dopo. «Abbiamo l’obbligo di intervenire per mitigare gli effetti del fuoco e degli eventi climatici estremi – dice Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale dell’Università degli Studi di Milano e autore di La resilienza del bosco – e dovremo aiutare le foreste a rigenerarsi dopo i danni provocati dagli eventi naturali, per renderle più resistenti al cambiamento climatico». Serve incentivare una pianificazione strategica della gestione forestale, non interventi fatti in emergenza e rimboschimenti pasticciati. «Molti, in queste ore, anche tra gli amministratori, parlano di rimboschimenti a tutto spiano  - osserva Vacchiano - ma si può fare rimboschimento molto male, sia piantando alberi inadatti, sia non facendo seguire cura e attenzione nella fase di crescita del bosco».

L’esperto poi sottolinea un aspetto che collega, una volta di più, gli incendi ai fenomeni estremi dovuti al cambio climatico: «A questa estate calda seguiranno autunno e inverno piovosi, con inondazioni. Dove gli alberi non ci sono più frane e smottamenti sono assicurati: in alcuni punti non ci si può permettere di aspettare per piantare le specie giuste, bisogna ripristinare subito le foreste di protezione diretta».