Non solo il falco pellegrino e l'aquila del Bonelli. Anche specie come i verdoni e i cardellini, in Italia, restano vittime del bracconaggio. E insieme a loro, balie, stiaccini, cince, zigoli gialli, frosoni, verzellini, usignoli, ciuffolotti, codirossi e beccafichi. Persino uccelli acquatici come mestoloni, canapiglie e fischioni. Il panorama tratteggiato dall'ultimo rapporto annuale 2020 di CABS (Committee Against Birds Slaughter) sul fenomeno del bracconaggio nella nostra Penisola è piuttosto vasto. Così come è vasta la gamma dei mezzi per praticarlo.
Si va dalle armi da fuoco ai richiami acustici, dagli insetticidi alle trappole con le reti, dalle gabbie, al taglio degli alberi per falcidiare i nidi. E il bracconaggio non è diffuso dappertutto allo stesso modo. Secondo Luca Giraudo, ornitologo e leader internazionale della montagna, il fenomeno si registra con una certa frequenza “là dove la componente venatoria è più numerosa e maggiormente legata alla caccia dell'avifauna. Si registra invece con minore intensità negli ambienti dove prevale la caccia agli ungulati. In realtà non si conosce la reale dimensione del problema, per una sostanziale carenza di controllo”.
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Bisogna anche considerare che i rapaci non sono numerosi, si riproducono in quantità ridotte e vivono a lungo. In Italia, il primato del bracconaggio spetta alle regioni del Sud, ma il Centro-Nord non ne è esente. “Nel Nord Italia tra le specie più bersagliate vi sono il falco pecchiaiolo e il biancone” conferma Giraudo. Da parte sua Enrico Bassi, consulente scientifico del Parco Nazionale dello Stelvio ed esperto di rapaci, spiega che il bracconaggio si presenta in forme diverse. “Molti pensano che significhi semplicemente sparare agli uccelli. Non è così. C'è anche il poisoning, l'avvelenamento, che in Italia ha sacche molto pericolose in Sicilia, Sardegna e nella zona appenninica di Abruzzo e Marche. Spesso è il frutto di rivalità contadine, dove per far dispetto si uccide a danno dell'altro. Esiste anche il saturnismo, che si verifica quando i rapaci – e non solo – si trovano a ingerire parti di proiettile nel corpo di un ungulato appena abbattuto. Un fenomeno che provoca decine e decine di vittime l'anno, anche se non può dirsi propriamente bracconaggio”.
Va ricordato che quattro specie di rapaci su sei sono considerati in pericolo critico di estinzione dalla lista rossa dell'IUCN. Sono il gipeto, il capovaccaio, il grifone e l'aquila del Bonelli. Trattandosi di specie necrofaghe, la loro sopravvivenza dipende dalla presenza di bestiame allevato allo stato brado. Ma le trasformazioni della pastorizia verificatesi nell’ultimo secolo, con la diminuzione dei capi e l'avvento delle nuove norme di polizia veterinaria, hanno ridotto drasticamente le riserve di cibo. Una minaccia che si è sommata a forme di persecuzione diretta come, appunto, il bracconaggio.