"L'impatto sull'ambiente naturale sarà praticamente nullo. Come una goccia d'inchiostro diluita in una piscina". Così Alessandro Dodaro - capo del dipartimento Fusione e sicurezza nucleare dell'Enea - commenta la notizia del futuro rilascio in mare delle acque contaminate provenienti dalla centrale nucleare di Fukushima. Una decisione che ha registrato le dure prese di posizione di Cina e Corea del Sud, oltre che degli ambientalisti, delle associazioni di pescatori e di contadini del Giappone.
L'esperto dell'Enea spiega perché non c'è da preoccuparsi: "Il carico radiologico non è altissimo. La maggior parte è dovuta al trizio, un isotopo dell'idrogeno con tossicità debole, presente in minime quantità anche nei mari e in atmosfera". Questo elemento, tra l'altro, ha una vita media non lunghissima: dopo 12 anni si dimezza. Assieme al deuterio, poi, il trizio è uno dei combustibili utilizzati nella ricerca sulla fusione nucleare.
Secondo Dodaro, sono due gli aspetti importanti che limiteranno l'impatto degli inquinanti nucleari sugli ecosistemi dell'Oceano: "il grado di diluizione e i tempi di rilascio delle acque". I protocolli giapponesi per lo smaltimento delle acque contaminate sono stati valutati e approvati da organismi internazionali come l'IAEA (International Atomic Energy Agency) e, per l'ingegnere, "sono corretti e sicuri".
"Molto più pericolose", afferma ancora Dodero, "erano le pratiche, ora vietatissime, di deposito dei rifiuti nucleari sui fondali marini o le bombe atomiche fatte esplodere sugli atolli tropicali, migliaia e migliaia di volte più impattanti del rilascio delle acque di Fukushima, programmato a regola d'arte e dilazionato nel tempo".