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LE 6 PRIORITA' PER L'AMBIENTE

4. Un nuovo modello per le città

SAPIENS - Il ritmo del progresso Tutte le puntate

4 minuti di lettura

Negli ultimi decenni, il modello di sviluppo di Sapiens ha generato il paradosso del progresso che  genera regresso. Questo è il risultato delle complesse correlazioni fra produzione di ricchezza (il PIL), industrializzazione, urbanizzazione, crescita demografica,  disuguaglianze e sostenibilità globale. Per capire a fondo questi temi sarebbe necessario leggere i corposi rapporti del  Global Environment Outlook pubblicati ogni due anni dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), ma se ne può tentare una  sintesi in queste pagine.  

Nel 2050, la popolazione mondiale raggiungerà circa  9,7 miliardi di individui, dai 6,6 miliardi del 2010: una crescita enorme, che sarà concentrata nelle regioni più povere del mondo. Queste aree del pianeta sono anche quelle che mostrano un più basso carbon footprint procapite, cioè il minor numero di tonnellate di CO2 prodotte per individuo, per via del sottosviluppo e della scarsa industrializzazione di molte aree dell’Africa Sub-Sahariana e del Sud dell’Asia: dove si produce di meno si inquina di meno. Ma proprio lo scarso progresso  coincide con  i trend demografici esplosivi. Il sottosviluppo, infatti, si accompagna a forti disuguaglianze di genere in termini di accesso all’educazione e alle opportunità di lavoro per le donne e all’assoluta mancanza di politiche nazionali di contraccezione.  I dati  dell’ultimo decennio  mostrano infatti che nei paesi dove  meno del 20% di donne hanno accesso alla scuola secondaria, la fertilità media è di 5 nascite per donna, mentre essa scende a 1,5 nascite per donna quando l’accesso alla scuola supera il 90%. Nei paesi avanzati si assiste invece ad una stagnazione della crescita demografica e all’aumento della percentuale di anziani, in seguito agli avanzamenti della medicina e delle politiche di  welfare.
 

Entrambi questi fenomeni aumentano la pressione di Sapiens sulle risorse del pianeta, minando un equilibrio già compromesso con l’ecosistema. La crescita parallela delle fasce non produttive della società - i piccoli e gli anziani – assorbe, infatti, una quantità crescente di risorse, attraverso l’espansione delle politiche sociali e la diffusione di tecnologie della cura, che hanno un forte impatto ambientale.

 

Un secondo elemento di  allarme è quello dell’urbanizzazione: a livello globale  c’è una crescente concentrazione di  persone in grandi complessi urbani.  Nel 2010, circa 3,6 miliardi gli individui (poco più della metà della popolazione globale), vivevano in città. Nel 2050 si prevede che il numero di persone che vivrà in aree urbane raggiungerà i 6,7 miliardi, pari a circa il 66% della popolazione mondiale. Le Megalopoli con  più di 10 milioni di abitanti erano 10 nel 1990 e includevano il 7% della popolazione urbana mondiale (153 milioni).   Nel 2014  sono diventate 28  (12%  della popolazione urbana mondiale pari a  453 milioni di persone). Nel 2016 sono diventate 31, prevalentemente in Cina e India.

 

L’urbanizzazione, di per sé, rappresenta un’opportunità: le città attraggono talenti e investimenti, la concentrazione di persone favorisce una diffusione più rapida delle conoscenze e un tasso di innovazione più elevato, mentre stimola lo sviluppo delle infrastrutture. Gli stessi costumi culturali sono influenzati dalla vita in città, a cui è associato un tasso di fertilità più basso.  Ma l’urbanizzazione presenta anche un conto negativo: nella calca cittadina crescono la congestione e l’inquinamento, dovuti allo smog e alla produzione di rifiuti. La concentrazione di Sapiens porta ad un aumento dei costi sociali: la casa e i servizi essenziali diventano più cari, mentre aumentano il crimine e le situazioni di disagio. Di fatto in assenza di pianificazione e regole  la crescita urbana diventa causa di molteplici vulnerabilità. Questo è proprio quello che sta avvenendo oggi: le città del mondo stanno crescendo in maniera disordinata. Nell’occidente avanzato, caratterizzato già da alti tassi di urbanizzazione, la crescita degli agglomerati urbani è graduale e diffusa e si comincia a parlare di “smart city” , città digitali e intelligenti che riducono l’impatto ambientale e  migliorano la qualità della vita. Nelle zone a basso sviluppo le megalopoli stanno invece crescendo rapidamente e senza strumenti di  pianificazione urbana per la domanda energetica, le infrastrutture fisiche, la produzione di gas serra, i trasporti, l’ utilizzo  delle risorse idriche, la gestione dei rifiuti.

 

Oggi per esempio la produzione di rifiuti urbani supera i 10 miliardi di tonnellate all’anno con un mercato che eccede i  500 miliardi  di US$. Cio’ nonostante oltre tre miliardi di Sapiens non hanno accesso a programmi di raccolta dei rifiuti. Oggi nei paesi a bassi sviluppo ci sono oltre 64 milioni di persone che vivono in prossimità delle 50 più grandi discariche del mondo dove vengono bruciati rifiuti di tutti i tipi, generando enormi  quantità di gas serra,  micro particolato (PM10, PM2,5) e di  microinquinanti organici.  42 di queste discariche si trovano a meno di  2 kilometri  dagli insediamenti  urbani!

 

Negli ultimi quarant’anni, le aree urbanizzate sono cresciute di due volte mezzo, raggiungendo gli 800.000 km² totali mentre, nello stesso periodo, la popolazione globale è cresciuta “solamente” di 1,8 volte. In altre parole, gli insediamenti urbani sono cresciuti in maniera superlineare rispetto al trend demografico, divorando spazio e risorse in maniera incontrollata. In nessun luogo del pianeta questa tendenza è stata così accentuata che in Asia dove, dal 1975 ad oggi, la popolazione è duplicata mentre lo spazio antropizzato è più che triplicato. Non solo: mentre in Europa e in Nord America l’urbanizzazione si è accompagnata alla stagnazione demografica (di fatto sono aumentati i metri quadri a persona disponibili), in alcuni paesi asiatici, come Cina e India, si è assistito ad una crescita improvvisa della densità abitativa per effetto del boom demografico. Nel Sud-Est asiatico, infatti, a fronte di un tasso di urbanizzazione del 22%, la popolazione è cresciuta del 31%, concentrandosi in ciclopici agglomerati urbani, a danno della sostenibilità delle città.

 

L’urbanizzazione sregolata non è solo un volano negativo del cambiamento climatico, ma anche un elemento chiave della crescita delle disuguaglianze. Sempre più, il disegno delle infrastrutture cittadine e le differenze socio-spaziali rappresentano un fattore critico per la salute individuale e il benessere sociale delle popolazioni. Le città costituiscono delle grandi concentrazioni di ricchezza, ma portano anche allo spopolamento e al depauperamento delle aree limitrofe, con l’abbandono delle campagne e delle zone montane. Già oggi, 54% della popolazione globale vive in agglomerati urbani produce oltre 80% del PIL globale. Questo si traduce in una  estrema disomogeneità della ricchezza, in quanto 600 grandi città del mondo producono il 62% del PIL mondiale. Alle disuguaglianze territoriali si sommano, poi, crescenti divari sociali all’interno degli stessi centri urbani. L’urbanizzazione disordinata che caratterizza i paesi a più basso indice di sviluppo è contraddistinto spesso dalla crescita di shanty towns e zone di marginalità sociale. Secondo le Nazioni Unite, nel 2050, tra i due e i tre miliardi di persone saranno abitanti informali delle città, con scarso accesso a servizi essenziali.  

 

Come si vede, la crescita delle città pone una serie di sfide che sono di natura ambientale e sociale, e rappresentano allo stesso tempo una causa e una conseguenza degli squilibri del nostro ecosistema. L’urbanizzazione può agire da stimolo di ricchezza e conoscenza, attraverso un modello di sviluppo che, sul lungo periodo, garantisce un impatto minore sul pianeta. Ma se viene gestito in maniera troppo rapida e sregolata, rappresenta un catalizzatore del degrado ambientale. In questo, il fenomeno dell’urbanizzazione è altamente esemplificativo dei paradossi del progresso di Sapiens. Ogni avanzamento della tecnologia è sempre determinato dalla risposta a problemi di natura concreta, ma a lungo andare può generarne di nuovi.  Inevitabilmente, il progresso è un pendolo in costante oscillazione tra benefici e costi della tecnologia. Arrivati a questo punto, è però lecito chiedersi-  come fanno le Nazioni Unite - se stiamo facendo un buon lavoro.