Le nuove tecnologie permettono di sfruttare anche i venti del Mediterraneo. Un potenziale stimato, quello delle attività di repowering dei parchi eolici italiani, fino a 8 miliardi di investimenti e 4 mila nuovi posti di lavoro. Secondo Anev, in Italia si potrebbero raggiungere i 18,2 gigawatt entro il 2030. Burocrazia permettendo
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Via col vento, se al largo delle coste anche meglio. Per anni è stato detto e scritto che i mari italiani non sarebbero adatti per produrre energia eolica. Le correnti non sono abbastanza forti, non ci sarebbero vantaggi economici. Ma nel pieno della transizione energetica, con le tecnologie che progrediscono più velocemente di quanto sia percepibile, le pale sono diventate sempre più grandi e i rotori più efficienti. E ora, possono rendere economicamente anche sfruttando i venti del Mediterraneo, più "deboli" rispetto a quelli che soffiano nel nord Europa, dall’Atlantico Mare al Baltico.
Il rilancio dell’eolico in Italia – dopo qualche anno di stasi – passa anche da due progetti off shore, i primi in assoluto per il nostro paese: il primo al largo delle coste della Sardegna del sud nella zona del Sulcis, l’altro davanti a Ravenna. Sempre che vengano superate le resistenze locali, visto che l’effetto 'nimby' è sempre in agguato. Persino quando si tratta di energie verdi.
Ma non è solo questo: anche il decreto Semplificazioni, da poco licenziato dal parlamento contiene una norma che sblocca una serie di investimenti, in particolare liberando risorse in favore del repowering. In pratica, si tratta di fare intervenire sugli impianti eolici più vecchi, alcuni dei quali al limite dei 15 anni: sullo stesso sito, si abbatte il vecchio impianto e se ne costruisce uno nuovo, con una torre più alta e pale di dimensioni maggiori. Senza usare un metro quadro di territorio in più, potrebbero essere cancellate fino a 2.500 torri, ma installando una potenza di 3-4 volte superiore con un risparmio di 25 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.
Per non dire delle ricadute economiche. Secondo uno studio citato da Erg – il gruppo della famiglia Garrone che ha ceduto i business della raffineria e dei distributori di carburante per puntare solo sulle rinnovabili – le attività di repowering dei parchi eolici italiani potrebbero portare fino a 8 miliardi di investimenti, con un gettito fiscale di 5 miliardi e la creazione di 4 mila posti di lavoro. Erg è ovviamente interessata ed è pronta a investire fino a un miliardo di euro nei prossimi anni per la 'sostituzione' degli impianti, di cui più di un terzo rimarrebbe in Italia, visto che pale e rotori vanno acquistate all’estero.
C’è un terzo elemento che ha portato alla ripresa del settore eolico italiano: il passaggio dal sistema degli incentivi a quello delle aste. In pratica, il governo ha bandito una sorta di concorso a cui hanno risposto gli operatori che si sono aggiudicati 'capacità' elettrica offrendo un prezzo stabilità. E vincendo l’asta in base ai prezzi più bassi offerti.
"Il meccanismo ha funzionato abbastanza bene", lo promuove Simone Togni. A parlare è il presidente di Anev, associazione di categoria che raccoglie una novantina di operatori oltre a 5 mila addetti, che lavorano lunga tutta la filiera, dagli studi ambientali a chi si occupa della manutenzione. Anche se soddisfatto, Togni spiega come le aste potrebbero essere migliorate: "Il meccanismo garantisce la competizione, ma dovrebbe avere maggiore continuità ed essere suddiviso per tecnologie in modo da garantire prezzi di aggiudicazione più rispondenti ai costi di produzione e quindi maggiore efficienza per il sistema".
Anev auspica che il meccanismo della aste venga prolungato "almeno fino al 2030, visto che non danno incentivi ma favoriscono la stabilizzazione del prezzo dell’energia". Anche perché la ripresa degli investimenti dell’eolico – unita alla crescita costante del fotovoltaico – potrebbe comunque non bastare per raggiungere gli obiettivi internazionali per la riduzione delle emissioni di CO2. A fine giugno, le installazioni eoliche in Italia ammontavano a 10,6 per oltre 7200 turbine. Il totale corrisponde al 5% della produzione di energia ottenuta dal vento in tutta Europa.
Ma siamo ancora indietro. Perché negli ultimi anni non siamo riusciti a raggiungere quegli obiettivi che erano stati fissati, i quali prevedono aumento di installato di almeno 700 megawatt ogni dodici mesi. Secondo Anev, il potenziale dell’eolico in Italia potrebbe raggiungere i 18,2 gigawatt entro il 2030. Ma l’eccesso di leggi e di burocrazia – contestano gli operatori – non facilita il raggiungimento degli obiettivi.
Nonostante i passi avanti contenuti nel decreto Semplificazione, il cammino per rendere le procedure più rapide è solo all’inizio. Almeno così la pensa Toni Volpe, amministratore delegato del gruppo Falck Renewables, lo storico gruppo milanese che una volta abbandonato la siderurgia si è rilanciato nella green economy. Ora Falck dispone di 1.133 megawatt di potenza installata, per lo più nell’eolico: nelle ultime stagioni, ha investito solo all’estero, in Europa e negli stati Uniti dove ha stretto una joint venture con Eni. Anche per le difficoltà burocratiche che rendono farraginosi i tempi di realizzazione degli impianti: ""Non illudiamoci che con il decreto Semplificazioni sia stato tagliato il nodo gordiano delle leggi che rallentano gli investimenti – sostiene Volpe - al limite qualche filo. La strada è quella giusta ma i processi vanno velocizzati se si vogliono raggiungere gli obiettivi climatici al 2030 e al 2050”.
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Ma anche Falck Renewables, grazie agli ultimi provvedimenti tornerà a investire in Italia. "Grazie al sistema delle aste, si è sbloccato un settore che era entrato in crisi a partire dal 2017 noi però puntiamo a finalizzare contratti di fornitura di energia verde da impianti solari direttamente con compratori industriali. Un ulteriore salto tecnologico potrebbe riguardare anche l’eolico off shore, grazie alla possibilità di realizzare impianti galleggianti. Le centrali si possono situare più al largo alla ricerca di vento favorevole, andando incontro alle richieste di chi si oppone al posizionamento delle pale a ridosso delle coste. Dal sud della Sardegna al mar Jonio verso la Grecia, gli investimenti potrebbero diventare ulteriormente sostenibili".