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A tu per tu con le pietre sconosciute di Venezia. Lo sguardo di Carmeni ancora sa sorprendere

A Palazzo Grimani la mostra con le immagini ravvicinate dai ponteggi trasformate in opere d’arte: «Un pellegrinaggio onirico»

Manuela Pivato
Aggiornato alle 2 minuti di lettura
L’opera “20221006122858” di Ugo Carmeni 

Su e giù per i ponteggi dei cantieri, naso contro naso con statue, architetture, fregi; quasi un rapporto simbiotico, dove non c’è stato nemmeno bisogno di capirsi, il fotografo a scattare, le pietre a posare, giorno dopo giorno per tre anni, fino a raggiungere un risultato assolutamente inedito perché ancora capace di sorprendere pur nella città più immortalata del mondo.

I restauri

“Venice Mapping Time” – da mercoledì 5 luglio al 26 novembre – al Museo di Palazzo Grimani è il racconto per immagini di una serie di incontri ravvicinati che Ugo Carmeni ha fatto tra l’ottobre del 2020 e il marzo del 2023 oltre la soglia dei cantieri di edifici e chiese.

Lassù, dove i restauratori puliscono, levigano, curano i marmi, il rame, il bronzo dalle ferite del tempo, il fotografo ha osservato, aspettato. A tu per tu con squarci che da quaggiù non sono dati di vedere, in sconvolgente intimità con putti, angeli, statue, ne ha catturato gli occhi, la bocca, il dorso della mano, il cipiglio, l’alterigia, intitolando ciascuna immagine con un codice che riporta l’anno, il mese, il giorno, l’ora e il minuto in cui la fotografia è stata scattata.

La ricerca

«È stato un lavoro di ricerca sulla superficie della città come fosse la sua pelle» spiega il fotografo «ciascuna immagine offre al visitatore infiniti spunti, come nel caso del putto che diventa demone o della statua della Giustizia ai Gesuati che, dopo il restauro, sembra aver ritrovato la propria serenità».

Dalla Salute a San Stae, da San Moisé a San Salvador, Ugo Carmeni ha lavorato su ingrandimenti di particolari stampati su carta di cotone in grande formato (fino a 100 centimetri x 150) e ciascuna fotografia è stata quindi lucidata a mano con diversi strati di cera per esaltare i colori e infine applicata a pannelli di alluminio montati su un telaio in legno. L’immagine, così, diventa quasi un quadro astratto, materico, mutevole a seconda dell’incidenza della luce.

Sessantasette i lavori esposti tra il secondo piano e la Sala di Psiche al piano nobile (con un bestiario veneziano) nella mostra curata da Daniela Ferretti con Dario Dalla Lana, promossa dalla Direzione regionale Musei Veneto e dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e patrocinata dal Patriarcato.

«Quello di Carmeni è un pellegrinaggio onirico fatto di trabocchetti e prodigi, meraviglie e incubi, corrosioni e superfici levigate, vertiginosi e iperbolici scorci architettonici, inquietanti e fascinose personificazioni allegoriche, mirabili lapidari e fantastici bestiari» spiega Daniela Ferretti.

Il tempo, la pazienza, il dettaglio anche nell’installazione multimediale composta da una selezione di immagini generata da un algoritmo. «Questo progetto espositivo» dice la direttrice del Museo di Palazzo Grimani, Valeria Finocchi «sottolinea il modo in cui un lavoro di documentazione diventa un vero e proprio progetto d’arte».

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